Gad Lerner: Lavavetri. Quel ricatto dei disperati
29 Agosto 2007
In un Paese civile l’accattonaggio molesto dovrebbe essere perseguito esattamente come i posteggi in doppia fila e la guida con il telefonino. Vietato, e di conseguenza sanzionato puntualmente con multe severe abbastanza da disincentivarne la recidiva.
Purtroppo l’Italia è invece un Paese in cui i lavavetri possono venire organizzati in racket, talvolta aggressivi. E la ragione è la medesima per cui tanti cittadini perbene lasciano l’auto in doppia fila e parlano al telefonino guidando. E cioè che sono molte più le probabilità di cavarsela che non di essere puniti con la necessaria severità.
Così il lavavetri da povero mendicante sta trasformandosi in figura odiosa. Alle sue prepotenze - la spugna che imbratta il vetro, il tergicristallo sollevato - replichiamo con espedienti altrettanto scortesi: un colpo d’acceleratore, uno spruzzo d’acqua, il frastuono del clacson. Minaccia contro minaccia. E diventano subdoli, puntano le donne sole o gli anziani. Debolezza contro debolezza. Se li incontriamo quando a bordo portiamo i bambini l’istinto ci porta a bloccare le portiere, quasi potessero rivalersi sui piccoli. Ai quali non sappiamo bene cosa insegnare: bisogna fare l’elemosina ai poveri, passare la moneta della carità tramite le loro manine, o blindarsi perché il povero è un delinquente?
La vita metropolitana imbarbarisce anche per via di simili alternative che distorcono la nostra sensibilità. E allora bisogna ribadire ciò che in Italia non è mai scontato, cioè che il rispetto della legalità è un principio vincolante che non prevede esenzioni né per i deboli né per i forti.
Quello del lavavetri al semaforo non potrà mai essere considerato un mestiere né tanto meno un ammortizzatore sociale mascherato. Le vie dell’accoglienza e del sostegno agli svantaggiati sono ben altre, prevedono il ripristino dell’umana dignità. Il contrario dell’odioso ricatto perseguito attraverso l’esibizione di mutilazioni, sporcizia, disperazione infantile. I racket che s’illudono di lucrare sui nostri sensi di colpa ottengono l’effetto opposto: incoraggiano i cittadini a ignorare il dramma della disuguaglianza sociale. Propagandano il disvalore dell’egoismo e spengono il naturale istinto della compassione.
Dunque l’ordinanza del comune di Firenze che inasprisce la repressione degli abusivi ai semafori non ha proprio nulla di leghista. Semmai il senatore Calderoli dovrebbe spiegare come si possa applaudire la giusta repressione del lavavetri e, al tempo stesso, brandire il "diritto" all’evasione fiscale. Diritti e doveri: questa è la linea che dovrebbe ispirare le amministrazioni locali nel trattare i nuovi venuti spinti dal bisogno, accompagnandoli in un percorso il cui esito finale non può che essere una piena cittadinanza. Tranne che per gli sfruttatori del lavoro minorile e gli altri criminali.
Ben venga dunque una linea di maggiore severità, accompagnata dall’offerta di un civile patto di legalità, da pari a pari. Perché gli annunci non bastano e, a meno di scadere nella demagogia, sappiamo benissimo che la soluzione della piaga dei lavavetri non sarà il carcere.
La ricetta della carcerazione sistematica degli emarginati viene in effetti applicata in altri paesi, come gli Stati Uniti, che accettano l’idea di una popolazione detenuta percentualmente dieci volte più numerosa della nostra, in corrispondenza con una spesa sociale molto inferiore. Non è questo il modello né italiano, né europeo. Tanto più che il numero dei reati ne esce tutt’altro che diminuito.
L’esasperazione degli automobilisti che subiscono ingiusti agguati ai semafori viene alimentata da un più generale senso di insicurezza che ha per causa la microcriminalità diffusa. Reprimerla, lo sappiamo bene, non è né di destra né di sinistra, ma solo necessario. Tanto più che la paura crescente, quando s’indirizza nei confronti dei più poveri, produce gravi guasti culturali.
Non è ancora passato un mese dal rogo in cui sono morti quattro bambini rom sotto un cavalcavia alla periferia di Livorno. Le loro esequie non sono ancora state celebrate. I genitori, o presunti tali, restano agli arresti perché se rilasciati quasi certamente si dileguerebbero. La magistratura indaga prendendo tuttora in seria considerazione la pista dell’attentato incendiario contro l’accampamento. Un dubbio atroce e clamoroso, ignorato però dai giornali che preferiscono dedicare pagine e pagine al delitto di Garlasco, molto più attraente di ogni interrogativo scomodo sulla sorte di quattro bambini forse assassinati. Pietà l’è morta? Forse siamo solo ottenebrati da un velo d’incoscienza, intessuto anche dall’eccessiva tolleranza delle illegalità che rendono così faticosa la nostra vita quotidiana.
Cancellare la presenza delle vite derelitte in mezzo a noi non è possibile. Ma ripristinare dignità e legalità agli incroci cittadini è doveroso, anche per custodire quel bene ormai raro ma prezioso che è la solidarietà.
Purtroppo l’Italia è invece un Paese in cui i lavavetri possono venire organizzati in racket, talvolta aggressivi. E la ragione è la medesima per cui tanti cittadini perbene lasciano l’auto in doppia fila e parlano al telefonino guidando. E cioè che sono molte più le probabilità di cavarsela che non di essere puniti con la necessaria severità.
Così il lavavetri da povero mendicante sta trasformandosi in figura odiosa. Alle sue prepotenze - la spugna che imbratta il vetro, il tergicristallo sollevato - replichiamo con espedienti altrettanto scortesi: un colpo d’acceleratore, uno spruzzo d’acqua, il frastuono del clacson. Minaccia contro minaccia. E diventano subdoli, puntano le donne sole o gli anziani. Debolezza contro debolezza. Se li incontriamo quando a bordo portiamo i bambini l’istinto ci porta a bloccare le portiere, quasi potessero rivalersi sui piccoli. Ai quali non sappiamo bene cosa insegnare: bisogna fare l’elemosina ai poveri, passare la moneta della carità tramite le loro manine, o blindarsi perché il povero è un delinquente?
La vita metropolitana imbarbarisce anche per via di simili alternative che distorcono la nostra sensibilità. E allora bisogna ribadire ciò che in Italia non è mai scontato, cioè che il rispetto della legalità è un principio vincolante che non prevede esenzioni né per i deboli né per i forti.
Quello del lavavetri al semaforo non potrà mai essere considerato un mestiere né tanto meno un ammortizzatore sociale mascherato. Le vie dell’accoglienza e del sostegno agli svantaggiati sono ben altre, prevedono il ripristino dell’umana dignità. Il contrario dell’odioso ricatto perseguito attraverso l’esibizione di mutilazioni, sporcizia, disperazione infantile. I racket che s’illudono di lucrare sui nostri sensi di colpa ottengono l’effetto opposto: incoraggiano i cittadini a ignorare il dramma della disuguaglianza sociale. Propagandano il disvalore dell’egoismo e spengono il naturale istinto della compassione.
Dunque l’ordinanza del comune di Firenze che inasprisce la repressione degli abusivi ai semafori non ha proprio nulla di leghista. Semmai il senatore Calderoli dovrebbe spiegare come si possa applaudire la giusta repressione del lavavetri e, al tempo stesso, brandire il "diritto" all’evasione fiscale. Diritti e doveri: questa è la linea che dovrebbe ispirare le amministrazioni locali nel trattare i nuovi venuti spinti dal bisogno, accompagnandoli in un percorso il cui esito finale non può che essere una piena cittadinanza. Tranne che per gli sfruttatori del lavoro minorile e gli altri criminali.
Ben venga dunque una linea di maggiore severità, accompagnata dall’offerta di un civile patto di legalità, da pari a pari. Perché gli annunci non bastano e, a meno di scadere nella demagogia, sappiamo benissimo che la soluzione della piaga dei lavavetri non sarà il carcere.
La ricetta della carcerazione sistematica degli emarginati viene in effetti applicata in altri paesi, come gli Stati Uniti, che accettano l’idea di una popolazione detenuta percentualmente dieci volte più numerosa della nostra, in corrispondenza con una spesa sociale molto inferiore. Non è questo il modello né italiano, né europeo. Tanto più che il numero dei reati ne esce tutt’altro che diminuito.
L’esasperazione degli automobilisti che subiscono ingiusti agguati ai semafori viene alimentata da un più generale senso di insicurezza che ha per causa la microcriminalità diffusa. Reprimerla, lo sappiamo bene, non è né di destra né di sinistra, ma solo necessario. Tanto più che la paura crescente, quando s’indirizza nei confronti dei più poveri, produce gravi guasti culturali.
Non è ancora passato un mese dal rogo in cui sono morti quattro bambini rom sotto un cavalcavia alla periferia di Livorno. Le loro esequie non sono ancora state celebrate. I genitori, o presunti tali, restano agli arresti perché se rilasciati quasi certamente si dileguerebbero. La magistratura indaga prendendo tuttora in seria considerazione la pista dell’attentato incendiario contro l’accampamento. Un dubbio atroce e clamoroso, ignorato però dai giornali che preferiscono dedicare pagine e pagine al delitto di Garlasco, molto più attraente di ogni interrogativo scomodo sulla sorte di quattro bambini forse assassinati. Pietà l’è morta? Forse siamo solo ottenebrati da un velo d’incoscienza, intessuto anche dall’eccessiva tolleranza delle illegalità che rendono così faticosa la nostra vita quotidiana.
Cancellare la presenza delle vite derelitte in mezzo a noi non è possibile. Ma ripristinare dignità e legalità agli incroci cittadini è doveroso, anche per custodire quel bene ormai raro ma prezioso che è la solidarietà.
Gad Lerner
Gad Lerner è nato a Beirut nel 1954 da una famiglia ebraica e a soli tre anni si è dovuto trasferire a Milano. Come giornalista, ha lavorato nelle principali testate …