Renato Barilli: Fogliati e Sissi, le macchine e il “bio”

30 Agosto 2007
Per riconoscimento unanime, il migliore dei Parchi di sculture all'aperto in Italia è quello che si presenta col nome agreste di Fattoria di Celle, consistente in un’intera collina alle porte di Pistoia, di proprietà di Giuliano Gori, che ne è anche il sapiente curatore, pronto e tempestivo nelle sue scelte. Le varie installazioni hanno un quarto di secolo alle loro spalle, ma intanto il nostro abile fattore non se ne sta certo con le mani in mano, continua nelle scelte opportune, conducendole in più punti nell’orizzonte della ricerca. Così, il menu di quest’anno ci presenta una installazione, temporanea, in una casina compresa nel magico perimetro, ad opera di uno dei nostri più vivaci talenti, l’artista appena trentenne che vuole farsi conoscere solo con l’enigmatico appellativo di Sissi, ma accanto a lei c’è pure un reduce da stagioni che si potrebbero ritenere già superate, Piero Fogliati (1930), a riprova che il padrone di casa cavalca imparzialmente varie tigri e ondate, senza rendersi prigioniero delle mode. Sissi rappresenta in grado eccellente una nuova fase della ricerca, che si lascia alle spalle le efficaci armi della tecnologia elettronica, la foto digitale, il video, la computer graphic, scommettendo piuttosto sulle biotecnologie, quasi si vorrebbe dire sugli organismo geneticamente modificati. Già un’edizione del Premio Furla, nel 2002, quando questa rassegna non si era arresa a un certo conformismo come purtroppo è avvenuto sempre più spesso nelle recenti edizioni, aveva promosso in primo piano Sissi, fin da quei primi momenti intenta alle sue imprese simil-organiche, di insetto di nuovo conio capace di secernere delle bave, dei filamenti non certo ligi a un modesto codice naturale, ma appunto pronti a giovarsi dei ritrovati più avanzati delle biotecnologie. Detto più semplicemente, la nostra Sissi aveva scoperto il fascino dello scubiddù, una sorta di filo di seta ben più tenace di quello emesso dai bachi, e soprattutto, grazie alla sua condizione artificiale, capace di essere prodotto in misura straripante, fino ad avvolgere l'intero universo. Se si vuole, si trattava di una specie di web, di una rete, ma non immateriale, come quella elettronica, bensì appoggiata a una consistente materialità, seppure scaturente da formule chimiche inedite. E già allora c’era nell’operazione una sostanziale ambiguità, come si poneva Sissi stessa, all’interno di quella sua tenace ragnatela? Ne era l’abile emittente, il deus ex machina, o invece la prima persona a rimanerne preda, a fungerne da vittima sacrificale? In seguito, la giovane artista ha trovato tanti altri modi per variare una simile invenzione. È venuto per esempio lo sfruttamento delle fibre interne del bambù, con cui le è stato possibile confezionare dei maxi-nidi, per mostruosi uccelli fantascientifici, che però potevano essere nello stesso tempo dei copricapi, dei sombreros per creature ugualmente fuori scala. Ma si poteva trattare anche di abitazioni conformi alla nuova architettura riposta su un codice citomorfo che sta sorgendo ovunque. Poi ancora c’è stata la fase dei kleenex, dei fazzolettini di carta, pronti a imbeversi di inchiostri policromi con cui ottenere delle spalliere di orchidee, ma anche delle superfici repulsive di organi di digestione intestinale, ancora una volta per quel senso ambiguo che si è detto. Le superfici di Sissi sono splendide emanazioni prodotte da un animale del futuro, ma sono anche le foglie di un vegetale carnivoro pronto a racchiudersi sulla preda e ad avviarne una implacabile digestione. Nell’installazione a Celle, Sissi fa uso di tondini metallici, ma li piega, li flette, ne fa delle voliere per catturare creature alate, e beninteso l’artista è sempre la prima a sottoporsi alle sue formazioni tentacolari, a lasciarsene fasciare, inghiottire, soffocare. Fogliati invece, ultrasettantenne, attesta di una fase ben diversa della ricerca, quella dei primi anni Sessanta, quando si era ritrovata una fiducia nell’industrialismo e nelle macchine, e si cercava di ottenere con esse effetti al passo con i tempi, di mobilità, di diffusione luministica. In quegli anni noi Italiani fummo in grado di creare ottimi esempi di arte cinetica, appoggiata al sapiente uso dei motorini e dei vari apparati elettrici, in un momento in cui la rivoluzione elettronica non era ancora matura, si doveva attendere il traguardo del ‘68, che avrebbe condannato il movimento ottenuto con le macchinette e le manifestazioni sons et lumières. In effetti, il cinetismo dei primi anni Sessanta risultava un po’ duro e coriaceo, costretto a movimenti rigidi e «programmati». Ma Fogliati, pur appartenendo a quel clima, lo ha praticato con bella fantasia, variandone gli esiti, i ritmi, portandoli ad effetti leggeri, brillanti, fantomatici. In conclusione, La Fattoria di Celle ci offre in questo momento un ottimo incontro tra fasi pur lontane nel tempo: da un lato, una reviviscenza, con Fogliati, di quanto si potrebbe ancora ottenere con le vecchie tecnologie meccaniche ed elettriche, da un altro, con Sissi, quanto ci è reso possibile nello sbarcare su un continente imprevedibile di risorse simil-naturali, in bilico tra vecchi codici biologici e nuove possibilità di sintesi.

Renato Barilli

Renato Barilli (1935) già docente di Fenomenologia degli stili all’Università di Bologna, è autore di numerosi volumi di estetica, fra cui: Scienza della cultura e fenomenologia degli stili (il Mulino, …