Furio Colombo: Sicurezza è...

11 Settembre 2007
Se dico che, girando per una città italiana, ho più paura, da pedone, di attraversare una strada sulle strisce bianche di quanta ne abbia, da guidatore, di sostare a un semaforo dotato di lavavetri, credete che il ministro dell’Interno Amato si irriterà di nuovo (il riferimento è alla sua intervista con Massimo Giannini, la Repubblica, 5 settembre)? Hanno mai visto Amato e i sindaci-sceriffo, quel lampo di determinazione che si accende negli occhi del guidatore italiano (automobilista o motociclista) quando decide di tagliare la strada al pedone come se fosse un impegno d’onore?
Se scrivo che, nel nuovo pacchetto sulla legalità urbana non trovo alcun accenno al mare di tavolini di un mare di nuovi ristoranti che invadono e occupano le città italiane al punto da ostruire il traffico persino delle ambulanze (ne ha parlato invano Rita Bernardini, segretaria dei Radicali Italiani, con qualche ipotesi sulla legalità del nuovo denaro affluito improvvisamente nella ristorazione italiana) credete che darò prova di mancanza di ‟cultura di governo” (vedi il fondo di Europa del 6 agosto che inizia: ‟Pensavamo che le reazioni isteriche alle iniziative di Amato e dei sindaci sulla sicurezza derivassero solo da arretratezza ideologica di una parte della sinistra... ‟)?
Se affermo che non vedo il rapporto fra il ‟pacchetto sicurezza”, clamorosamente annunciato, e la vita italiana (a meno che si vogliano istituire nuclei di polizia di famiglia per prevenire i soli delitti orrendi fra mogli, mariti, fidanzati, figli, e finti rapimenti che hanno funestato la nostra estate) nel senso che la sicurezza richiede uomini e mezzi che non sono indicati nel ‟pacchetto” e non vedo il rapporto tra il pugno di ferro della sicurezza e la spugna dei lavavetri (che, a Roma, vendono anche ‟la Repubblica” e ‟Il Messaggero”), dite che è un segno di estremismo leninista?
Chiedo scusa ai lettori se torno sull’argomento ‟lavavetri”. Lo so anch’io che avremmo ben altro di cui occuparci e che non c’è - e non c’è mai stato finora - un ‟delitto dei lavavetri”, ne c’è mai stata una simile esasperazione su un problema modesto, quanto a sicurezza dei cittadini. Però devo riconoscere che tutto ciò rivela quanto grande sia la solitudine e isolamento sia dei cittadini sia degli immigrati. Ma c’è un vuoto tra chi sta cercando di suonare l’allarme e chi non capisce perché. Dunque è inevitabile cercare un po’ di chiarezza.
Certo, è difficile cercare chiarezza, quando manca del tutto un sistema di comunicazione costante e coerente fra governo e cittadini, quando le decisioni sembrano prese all’improvviso in base a umori e voci, e non segue mai una spiegazione.
Per esempio, dopo il mitico ‟pacchetto sicurezza” per cui una parte del governo (incluso il ministro della Difesa!) si è improvvisamente riunito, non è seguito alcun comunicato o conferenza stampa. I telegiornali hanno continuato a ripetere: ‟Stando a quel che si è saputo”, ‟secondo quanto è trapelato”. Il ministro dell’Interno ha fatto sapere nei dettagli ciò che pensa di chi gli dà torto (giudizi da professore irato) ma non ha fatto sapere né in generale né in particolare quali sono i punti e quali sono le ragioni del ‟pacchetto sicurezza”. E perché adesso, con questa drammatica risonanza.
Abbiamo lasciato dire alla destra che il Paese non ne può più delle tasse, fino a quando l’ultimo elettore di Prodi si è persuaso che non ne possiamo più delle tasse. E come se non bastasse, il ministro dell’Economia fa sapere - come se avesse davvero spinto alle stelle le tasse - che di tagliarle non se ne parla. ‟Prima bisogna mettere a posto i conti pubblici”. Poiché gli estranei al mestiere dell’economia non sanno di quali conti si parla, la strada è libera per Tremonti, Brunetta e altri finti economisti di Berlusconi.
Gli autori dell’Italia a crescita zero denunciano la nostra ‟miserabile crescita” di quasi due punti come un fallimento. E indicano un’unica strada salvifica che essi non hanno mai percorso: il taglio drastico delle tasse. Vuol dire, ovviamente, tagliare scuole e ospedali (più difficile toccare le Forze Armate, che sono più grintose dei medici e degli insegnanti). La novità è che tutta la sinistra, adesso chiede il taglio delle tasse, come se fosse vero che il governo di Prodi non ha fatto altro che aumentare le tasse. È sottinteso, ma non detto, che tale taglio riguarda soprattutto le imprese, il solo gruppo che si sia ben organizzato a tal fine. I lavoratori sono troppo contenti di avere ancora il posto di lavoro, si trovano le tasse già prelevate in busta paga e sono i soli legittimamente a temere (come francesi, tedeschi, belgi, scandinavi) che, se tocchi le tasse, tocchi anche - forse malamente - alcuni diritti essenziali come scuola o salute.
Per questo non esiste in Europa un movimento popolare per il taglio delle tasse, come è esistito in America il famoso movimento della ‟Proposizione tredici”, che - negli anni Settanta - ha vinto un referendum che ha portato la California, senza polizia e senza servizi sociali al disastro, dalle bande armate dei ghetti alla penuria di energia elettrica, durato per anni, fino al ritorno delle tasse (ma senza più l’inclusione di un minimo di assistenza sanitaria ai poveri).
Esiste, naturalmente, la cultura leghista, quella che sega le panchine per impedire che i senza dimora, come in tutto il mondo, vi dormano. Attenzione, non è una cultura solo leghista. Sindaci di sinistra adesso si attrezzano sia a segare le panchine che a punire con la giusta severità i lavavetri. E adesso leader di sinistra si apprestano a chieder tagli di tasse senza dirci in quale visione della vita, del funzionamento delle istituzioni e del continuare intatto dell’assistenza questi tagli sono possibili e perché. Sulla parola di quale economista questi tagli fanno bene all’economia e alla ripresa del Paese? Se sì, come mai Zapatero e Sarkozy non hanno mai sbandierato necessità e urgenza di eliminare le tasse - o promesso di farlo - nei loro Paesi ben funzionanti?
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È appena arrivato in Italia il film di Michael Moore, Sicko (Malato) sul rapporto fra medicina e pazienti in America. È una delle pagine più dolorose e più vergognose di quel Paese: quasi 50 milioni di americani sono del tutto privi di assistenza medica. Tutto era garantito, un tempo, dalla forza dei sindacati, dal posto di lavoro che durava una vita e dalle aziende che dedicavano una certa parte del profitto alle assicurazioni, garanzie mediche e pensioni in cambio della pace sociale. A un certo punto la destra ha deciso: prima si attaccano i sindacati, poi il lavoro, infine ci si libera delle costose assicurazioni sulla salute.
E infatti Ronald Reagan ha iniziato con la spallata ai sindacati, ordinando il licenziamento in un giorno solo di tutti i controllori di volo in sciopero. Poi sono seguiti, prima con Reagan e poi con Bush padre, i tagli delle tasse che hanno quasi immediatamente smantellato il sistema medico. Quasi contemporaneamente le aziende hanno messo in movimento due manovre: sempre più precariato e sempre meno ‟fringe benefits” che, ai tempi dei sindacati, voleva dire pensioni e cure mediche.
Nell’America di oggi quasi ogni nuovo posto di lavoro non prevede né pensione né cure mediche. Il mercato ha spostato il suo interesse altrove, le persone da sole sono troppo deboli per trattare. È accaduto che il Partito democratico, storico sostenitore dei sindacati, si è persuaso che un mercato più libero da ogni vincolo è un bene per tutti. È stato un bene, a volte immenso, solo per alcuni.
Nel suo film Michael Moore ci fa vedere, con la sua indignazione americana, che cosa è successo agli altri, con e senza lavoro, con e senza quel che resta delle assicurazioni sanitarie,anziani ai margini della vita ma anche giovani in piena attività. Quel film mostra il cuore del mondo-mercato. Senza governo, senza freni, (quasi) senza tasse, con le borse gravate di fondi truccati e truffaldini, moltissimi cittadini sono solo pedine di un gioco che per loro è sempre perdente.
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Non so se Michael Moore sia ‟sinistra radicale”, comunista o post-comunista. Non credo. Lui dice di essere soltanto cattolico. Ma fa vedere bene il legame tra lavoro, mercato, tasse, assistenza medica. Vogliamo dire i quattro punti cardinali di una democrazia industriale? E ci dimostra dove è in agguato l’illegalità contro la quale chi vuol difendere i cittadini dovrebbe voler combattere. È il grande gioco di privarti dei tuoi diritti, dalla sicurezza del lavoro alla sicurezza della salute (e il passaggio cruciale è di sgombrare l’orizzonte dalle tasse), usando i sondaggi delle tue stesse opinioni e usando il sostegno del tuo stesso voto.
Ecco dove la parola sicurezza balza al centro dell’attenzione - o dovrebbe - oltre alla grande lotta di tutti, istituzioni e cittadini, alla criminalità organizzata e alla corruzione. Diranno - con la collaborazione delle grandi testate - che queste sono le fastidiose, marginali posizioni della ‟sinistra radicale” o ‟estremista”.
Come vedete, anche se fanno finta di non saperlo, non è vero. Si può far finta di credere che Massimo Cacciari, Giancarlo Caselli, Cesare Salvi siano personaggi da barricata estremista. Si può far finta che Alberto Asor Rosa sia uno stalinista irredimibile. Si può far finta che questo articolo e il suo autore non ci siano. Più difficile sarà far finta di non aver visto che decine di migliaia di persone nel pomeriggio di sabato 8 settembre si sono autoconvocate in molte piazze italiane richiamate da Beppe Grillo. Sono tutte persone che non si sentono rappresentate né dal cast fisso di ‟Porta a Porta” né dai sindaci-sceriffo, e si sono perdute nel silenzio quasi assoluto di un governo laborioso ma introverso e nella giungla di un’incomprensibile disputa sulle tasse e di un’altra incomprensibile disputa sui lavavetri, mentre l’Italia è sempre immersa in una illegalità immensa e potente, completa di ‟leggi vergogna” ereditate intatte da Berlusconi. Quelle decine di migliaia di persone si sono riunite in tante assemblee contro la politica così come la vedono recitata nel cast fisso di ‟Porta a Porta”. Erano solo cittadini che un tempo venivano a dare coraggio al centrosinistra in Piazza San Giovanni o al Circo Massimo a Roma. Adesso, lasciati soli, fanno da soli intorno al vocione di Beppe Grillo. ‟Ma quando mai un comico ha dovuto mettersi a fare il leader?”, ha chiesto lo stesso Beppe Grillo al suo popolo. Per fortuna c’è chi si ostinerà a portare tutte (tutte) queste valige dentro il Partito democratico. Per impedire che voli via col vento frivolo di Europa.

Furio Colombo

Furio Colombo (19319, giornalista e autore di molti libri sulla vita americana, ha insegnato alla Columbia University, fino alla sua elezione in Parlamento nell’aprile del 1996. Oltre che negli Stati …