Giorgio Bocca: Io, un cronista un po’ segugio

13 Settembre 2007
Nel 1950 l’estate dell’alta Valle d’Aosta fu movimentata da un delitto che oggi quasi nessuno ricorda, ma che per noi che ce ne occupammo costituì un momento di giornalismo investigativo vero, intenso. Un mattino di luglio fu trovata in un prato di Entrèves, ai piedi del Monte Bianco, sotto il grande ghiacciaio della Brenva, il corpo di una ragazza trafitta da più di trenta pugnalate. Si chiamava Cavallero, ed era una cugina di quel Cavallero che negli anni a venire avrebbe commesso decine di rapine in tutta l’Italia del Nord. A quell’epoca, in cui le telecomunicazioni erano più rudimentali, i giornali non lesinavano sugli inviati, ed eravamo una ventina a essere alloggiati all’hotel Corona di Aosta, in costante rapporto di confronto e competizione tra di noi e con le forze dell’ordine; sì perché in quell’occasione non ci limitammo a fare cronaca, ma facemmo indagine, sopralluoghi, ricognizioni: non più cronisti, ma segugi. Il maresciallo dei carabinieri di Morgex aveva rapidamente arrestato una poveretta che si trovava in vacanza nello stesso alberghetto della Cavallero, tale Jolanda Bergamo. Il maresciallo aveva saputo che tra le due non correva buon sangue, che la Bergamo era gelosa della Cavallero. Ma qualcosa non quadrava: venimmo infatti a sapere che la Bergamo è zoppa, come avrebbe potuto percorrere più di un chilometro - tale la distanza tra l’albergo e il luogo del delitto - se era stata vista uscire solo dieci minuti prima della scoperta dell’assassinio? Uno di noi fece la prova, ripetendo il percorso zoppicando, e ci impiegò più di venti minuti. Il maresciallo di Morgex venne esautorato dal colonnello comandante la legione di Torino, e la Bergamo subito scarcerata: poté anche fare un giro trionfale per Aosta, in piedi, come un Presidente o un eroe dell’aria, sulla Cadillac azzurra del suo datore di lavoro, l’avvocato De Leon, giunto ad accoglierla all’uscita del carcere; un momento di trionfo per la libera stampa. Carabinieri e poliziotti però se la legarono la dito: non perdonandoci la brutta figura smisero di passarci le notizie; partirono allora due indagini parallele, quella dei poliziotti e la nostra, uno per tutti e tutti contro tutti, nel senso che se uno di noi avesse potuto bruciare tutti gli altri lo avrebbe fatto volentieri, ma nel frattempo ci si aiutava a vicenda, ci si scambiava le informazioni. Cercando informazioni tra tutti coloro che il giorno del delitto lavoravano tra Entrèves e Notre-Dame de la Guerison trovammo quello che seppe metterci sulla pista giusta: quel giorno aveva visto un giovane sconosciuto che scendeva in bicicletta da Notre-Dame de la Guerison diretto a Entrèves, con il portapacchi ingombro di latte di vernice e pennelli da imbianchino. L’indagine doveva proseguire dalla risposta a questa domanda: chi aveva fatto imbiancare qualcosa sopra Notre-Dame de la Guerison? Quando trovammo finalmente una baita dipinta di fresco, però, il padrone era irreperibile: se n’era andato in Francia, nessuno sapeva esattamente dove, e all’epoca non c’erano telefonini per rintracciarlo. Ripartimmo quindi da questo ragionamento: se l’imbianchino era venuto in bicicletta doveva stare in valle, non si arriva da Ivrea o da Torino con una bicicletta carica di vernice. Quindi passammo in rassegna tutti i paesi dell’alta valle, reperendo tutti gli imbianchini e verificando i loro alibi per il giorno del delitto; finalmente ad Aosta trovammo le tracce di quello giusto: non di persona perché era andato soldato a Palermo, ma il suo nome e le prove della sua colpa: si chiamava Nadir Chiabodo, il giorno del delitto era al lavoro a Notre-Dame de la Guerison, e in quanto ex soldato della legione straniera girava sempre armato di pugnale. Nelle loro indagini anche i Carabinieri erano arrivati a Chiabodo, ma un paio di giorni prima, e lo avevano già arrestato a Palermo e si preparavano a trasferirlo in valle, per essere interrogato alla caserma di La Thuile, riuscimmo a venire a sapere. E fu qui che io riuscii a ottenere un vantaggio decisivo sui miei colleghi: il brigadiere di La Thuile era infatti un vecchio amico, compagno di sci e di sbronze. Lo incontrai e ci accordammo per un segnale: disse che se Chiabodo avesse confessato sarebbe uscito dalla caserma per mettersi a pisciare, nella neve, visto che ormai era sopraggiunto l’inverno. Si vede che a noi piemontesi pisciare nella neve piace. Quella sera ci radunammo tutti noi giornalisti che avevamo partecipato alle indagini, ad aspettare notizie fuori della caserma, ma solo per me l’apparire di un militare che usciva per una pisciata nella neve assunse un significato preciso. Era poco prima di mezzanotte, giusto in tempo per una ribattuta de ‟La Gazzetta del Popolo”, il giornale per il quale lavoravo allora, e dare il buco a quelli de ‟La Stampa”.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …