Massimo Mucchetti: La Banca d’Inghilterra: principi nel cassetto e fuori il portafoglio

17 Settembre 2007
Il 25 luglio, meno di due mesi fa, Adam Applegarth esaltava i successi della Northern Rock, ottava banca inglese di storia abbastanza recente (venne fondata a Newcastle upon Tyne nel 1965) e ferrea specializzazione nei mutui immobiliari. Prometteva, questo beniamino della City che gioca a cricket in Premier League, aumenti del dividendo e acquisti di azioni proprie per restituire ai soci parte del capitale: al momento, 2,4 miliardi di sterline a fronte di 113 miliardi di attivi. Tre giorni fa, lo stesso Applegarth ha chiesto aiuto alla Banca d’Inghilterra: benché la relazione semestrale parlasse di beni disponibili per la vendita pari a 8 miliardi di sterline, la Northern Rock non aveva più soldi in cassa. La banca centrale, prestatrice di ultima istanza, ha concesso un finanziamento di entità e condizioni imprecisate. Due giorni prima, il governatore della Banca d’Inghilterra, Mervyn King, aveva criticato chi offre ciambelle di salvataggio alle aziende di credito in difficoltà, con palese riferimento alla Deutsche Bank. Questi fatti meritano una riflessione. Per cominciare, il finanziamento della banca centrale a una banca privata senza più altre fonti di credito andrebbe valutato secondo i principi della concorrenza. In un regime liberista, se Northern Rock non ha di che chiudere la sua giornata, non può liquidare subito cespiti patrimoniali né varare aumenti di capitale, dovrebbe portare i libri in tribunale e lasciar spazio sul mercato dei mutui, di cui ha una quota di quasi il 20%, a banche migliori. Tanto più che non c’è stato nessun evento eccezionale - una guerra o una catastrofe naturale - all’origine delle attuali turbolenze dei mercati, ma soltanto la flessione dei valori immobiliari americani da tempo temuta. Ma Mervyn King paventa, a ragione, che il fallimento di una grande banca ne possa determinare altri, a catena. E così, rimessi nel cassetto i principi liberisti, tira fuori il portafoglio. Ed è pure parco di notizie. Si dirà: la Northern Rock non è l’Alitalia. È vero: questo è un prestito e non un versamento a fondo perduto, ma resta un aiutino, prezioso come una bottiglia d’acqua nel deserto, che si aggiunge a tutti gli altri di Stato comunque travestiti dalle banche centrali e dal governo Usa che hanno avuto l’effetto, come ha osservato Giulio Tremonti, di sospendere il mercato nel mondo per un periodo imprecisato. Emerge un’asimmetria regolatoria tra finanza e industria squilibrata a favore della prima. Sta ora ai politici, espressione della volontà popolare, decidere se sia il caso di ricomporla. Tenendo presente che i nuovi giganti, Cina in primis, dalle turbolenze finanziarie occidentali possono solo trarre benefici per i loro «fondi sovrani». Per essere efficace, il ripensamento non può non cominciare dall’alto. La Financial Service Authority, che dal 1997 ha ereditato la vigilanza dalla Banca d’Inghilterra, precisa che i conti della Northern Rock sono in ordine e, con un po’di arroganza, invita a evitare troppi commenti. Il punto è che, sotto esame, sono non solo banche ed hedge fund ma anche le istituzioni di vigilanza, soggetti fallibili e sensibili al clima politico come tutti. La Fsa ha appena approvato l’applicazione dei criteri di Basilea 2 predisposta da Northern Rock per la contabilizzazione degli attivi in modo tale da poter ridurre il capitale proprio. Tutto perfetto? E la Banca d’Inghilterra avrebbe criticato l’interventismo altrui se, avendo una reale conoscenza delle cose proprie, fosse stata consapevole di dover fare altrettanto il giorno dopo? Se le autorità di vigilanza non riescono a misurare, o a far misurare alle banche vigilate, i rischi e le garanzie, la domanda ovvia, ma ancora senza risposta, è se i criteri di valutazione e i principi contabili in uso siano adeguati alla creatura che è uscita dalla lampada della deregulation.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …