Massimo Mucchetti: Falce e carrello: la riforma delle coop e l’arringa di Caprotti

24 Settembre 2007
Bernardo Caprotti le ha attaccate con un pamphlet d’inusitata vis polemica, Falce e carrello. Ma le cooperative farebbero male a reagire in chiave meramente difensiva e a liquidare tutto come un polverone alzato per rendere impresentabile l’unico potenziale acquirente italiano di Esselunga nel caso venga messa in vendita. Caprotti è di gran lunga il migliore nel suo campo: l’indice di produttività di Esselunga è di 2,51 contro l’1,38 del sistema Coop Italia, secondo in classifica. E con il suo prestigio l’ottantunenne imprenditore milanese dà forza politica all’esposto contro il sistema Coop, presentato il 4 aprile 2006 alla Commissione Ue dalla Federdistribuzione, l’associazione dei gestori di ipermercati e supermercati. Certo, da un punto di vista istituzionale, è curioso che Federdistribuzione non abbia contestato le coop presso il ministero italiano vigilante e che abbia atteso la scadenza della precedente commissione Ue, forse dubitando dell’allora commissario alla Concorrenza, Mario Monti. E tuttavia la contestazione del trattamento fiscale e del prestito sociale quali aiuti di Stato nel caso delle nove aderenti alla centrale Coop Italia resta un punto politicamente ineludibile, ancorché da discutere nel merito specifico. Assoggettare all’Ires solo il 30% dell’imponibile delle coop e accantonare il resto a riserva esentasse è un incentivo che, secondo l’aggiornamento del dettato costituzionale fatto dal governo Berlusconi, si giustifica con vincoli stringenti. Vincoli soggettivi: divieto di ripartire il patrimonio tra i soci, anche all’atto di scioglimento; remunerazione del capitale (sempre irrisorio rispetto al patrimonio) non oltre il rendimento dei titoli di Stato maggiorato di 2,5 punti; devoluzione del patrimonio ai fondi per lo sviluppo della cooperazione nel caso di violazioni statutarie o di trasformazione in società di capitali. Vincoli oggettivi: per avere quello sconto fiscale, la coop di consumo deve realizzare il 50,1% del fatturato con i soci. In caso contrario, la quota tassabile dell’imponibile sale al 70%. Il prestito sociale, che dà alle coop di consumo un polmone finanziario atipico, si giustificava un tempo con l’impossibilità di emettere obbligazioni ed è riconosciuto dalla legge bancaria. Questi benefici non sono dunque regali. Hanno precise contropartite. Ma tutto cambia. Anche le coop. I soci delle nove maggiori coop di consumo sono ormai milioni, partecipano in misura fatalmente ridotta alla governance e ricevono in cambio, sotto forma di agevolazioni sugli acquisti e ristorni dell’utile, una cifra che non viene quasi mai indicata nei bilanci forse perché non è troppo diversa da quanto ricevono i clienti fidelizzati della grande distribuzione privata. Dopo l’autorizzazione a emettere obbligazioni, il prestito sociale configura un’attività bancaria non più compensativa e comunque non sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia. Il suo principale effetto è il sostegno delle coop meno efficienti. Le coop possono resistere a Caprotti. Le strade ci sono, alla luce del sole. Ma forse è arrivato il momento di considerare se, nei casi di grandi business come la distribuzione moderna, la forma cooperativa sia adatta all’impresa: se certe regole non nascondano ormai l’urgenza delle riforme e non inducano a conservare nove coop con nove centri di costi generali dove ne basterebbe una. Il governo, forse, anziché fare soltanto muro, potrebbe ispirarsi alle fondazioni bancarie e varare adeguate misure per consentire (non obbligare) alle coop di conferire le loro aziende a società per azioni, magari da quotare in Borsa mantenendone il controllo. Le imprese progredirebbero e le coop-fondazioni avrebbero patrimoni rivalutati e redditi maggiori per continuare la loro missione in modo nuovo.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …