Nobel 2007 per la Letteratura. Il Novecento d’oro di Doris Lessing

12 Ottobre 2007
‟Nobelizzabile”: ecco l’aggettivo che un’agenzia di stampa, nel dare l’annuncio della decisione presa a Stoccolma, conia per Doris Lessing. Sì, era ‟nobelizzabile” da un pezzo, l’autrice del Taccuino d’oro, il romanzo che, nell’ormai remoto 1962, con la sua materia - la vicenda interiore d’una donna in crisi - e con la sua narrazione a pelo d’acqua, su nella luce del mondo reale, giù nelle oscurità dell’inconscio, eros compreso, cadde come un portentoso oggetto non identificato sulla scena inglese. Ma autrice anche, nell’arco degli ultimi cinquantasette anni, dal romanzo d’esordio L’erba canta (1950), di un’altra cinquantina di opere, romanzi per lo più, e anche molti racconti e alcuni saggi.
Doris May Taylor, in arte col cognome del secondo marito, l’ebreo comunista tedesco Gottfried Lessing, compirà 88 anni questo ottobre, e questo fa di lei ‟il” vincitore più anziano nella secolare storia del Nobel per la Letteratura. Candidata da decenni, a questo giro era addirittura scomparsa dalle previsioni della vigilia, data, come fosse un cartone di latte, per ‟scaduta”: ‟È stata una delle nostre decisioni più meditate” ha commentato il verdetto, con autoironia, il direttore dell’Accademia, Horace Engdahl.
‟Scaduta” Doris Lessing? Se può esserlo una scrittrice che negli ultimi tredici anni ci ha regalato, con i due volumi dell’autobiografia Sotto la pelle e Camminando nell’ombra, un bilancio della propria esistenza dalla nascita ai quarant’anni, e, con esso, un grandioso colpo d’occhio sul pezzo di pianeta - Persia, Rhodesia, Inghilterra - in cui è vissuta, come sul drammatico scorcio di storia che ha attraversato. Con Il sogno più dolce, il romanzo da noi uscito nel 2002, ha fatto i conti, non per la prima volta ma qui nel modo più drastico, con il ‟sogno”, un tempo anche suo, del comunismo e con gli orrori dell’Africa post-coloniale. Ma che, con il romanzo Amare, ancora e i racconti di Le nonne, si è cimentata con un altro dei suoi amati filoni, quello dei meno epocali piccoli scandali che turbano la moralità comune, in questo caso l’attrazione sessuale di donne in là con gli anni per dei giovanissimi. Che, ancora, qualche estate fa si conquistò l’apertura di prima pagina del ‟Guardian” per un giudizio liquidatorio sulle nuove narratrici inglesi enunciato al festival di Edimburgo: ‟Sciocche e disimpegnate”, così come su uno pseudo femminismo diffuso e improduttivo. E che ha annunciato che non darà seguito all’impresa autobiografica non per mancanza di energia, ma perché dovrebbe buttare un po’ di fango su persone viventi e note.
Doris Lessing è - come l’abbiamo conosciuta nel 2003 nel suo viaggio in Italia - una donna minuta e rotondetta, con occhi chiari non miti ma neppure imperiosi e con una voce affettuosa e un po’ chioccia. Però era ‟nobelizzabile”, e ora è un Nobel, per due dati pressoché corporei che contraddicono questa immagine: la forza, lei l’ha definita ‟formidabile energia”, che da cinquantasette anni mette nella scrittura, da un lato, e dall’altro la voce con cui parla a noi lettori, una voce che sa essere secca come uno schiocco di frusta.
Scrittrice ‟di” donne, o ‟per” donne? Con fastidio, ha sempre respinto questa etichetta. Però, seppure ‟malgrado lei”, è enorme il peso che ha esercitato su una generazione di lettrici. Per spiegarlo, prendiamo a prestito il termine che Laura Lilli ha impiegato nell’introduzione a un piccolo libro-intervista uscito nel ‘96 per minimum fax: transfert. C’è una coorte anagrafica di lettrici che nei suoi personaggi femminili ha visto se stessa in proiezione, ha visto le proprie rabbie, i propri scatti, le proprie liberazioni, i propri sbagli.
Forse, solo perché Doris Lessing è una scrittrice che ha il talento di trasformare in romanzi la materia che gli altri scrittori usano piuttosto come sfondo delle loro storie: le ideologie, i costumi, le mode di un’epoca. Si sia trattato degli anni Quaranta, nel ciclo assai autobiografico di Martha Quest - la giovane donna che, come lei, scalpita nell’Africa dell’apartheid, e compie scelte tradizionali, matrimonio e maternità, ma le ribalta - così come si trattasse dei primi anni Ottanta nella Brava terrorista, storia d’una militante dell’Ira che, al contrario, prepara attentati ma non sfugge all’educazione ricevuta, appende tendine, lustra e stira in ogni nuovo covo. A suo tempo studiosa appassionata di sociologia, Lessing sa insomma trasformare in un romanzo lo ‟spirito del tempo”, lo zeitgeist che, infatti, ha evocato più volte come un nume onnipotente e capriccioso nei due volumi dell’autobiografia.
Doris May Taylor nasce il 25 ottobre 1919 a Kermanshah, attuale Iran, da un padre impiegato di banca, un ‟sognatore” - lei lo definisce - tornato dalla guerra con una protesi di legno al posto della gamba amputata, e da una madre ‟ambiziosa” e patita del controllo, così la racconta, specie su corredi e vasellame vecchia Inghilterra portati dalla madrepatria. Nel 1925 la famiglia si trasferice in Rhodesia (oggi Zimbabwe): sono gli anni che lei racconta in un piccolo libro, Mia madre, dove descrive la fattoria nel bush, col padre che insegue il miraggio della piantagione e la madre che, stizzita, custodisce la perduta dignità piccolo-borghese. Mia madre è un libro importante - per chi voglia conoscere Doris Lessing - per due motivi: per la spietata lucidità con cui la scrittrice disegna la figura materna, la stessa con cui racconterà, nell’autobiografia, come e perché, nel 1943, lei abbandonerà il primo marito Frank Charles Wisdom e i due figli piccolissimi, John e Jean, commentando ‟è stata la scelta più orribile e più giusta della mia vita”; e perché ci fa capire dove sia nato un tratto fondamentale nella sua scrittura, l’antiromanticismo. Un antiromanticismo sui generis: i personaggi dell’universo narrativo lessinghiano inseguono spesso sogni, sono soggetti di passioni, ma sognano cose diverse dall’amor romantico o dalla gloria o dalla santità, proprio come suo padre, che sognava semplicemente filari rigogliosi e fruttiferi di piante in una terra impossibile. D’altronde, lei stessa spiega che il dolore più cocente della sua vita (il dolore è passione) è stato per un gatto, che aveva dovuto abbandonare da bambina lasciando la Persia. E non sono le più felici le pagine, come per esempio nel romanzo Se gioventù sapesse, in cui si cimenta con ciò che è pane quotidiano per eserciti di narratori, l’amore tra uomo e donna.
A 14 anni l’adolescente Doris abbandona la scuola: studierà poi tutta la vita da autodidatta. Nel ‘37 si trasferisce a Salisbury, dove comincia a militare tra i ‟leftist” antirazzisti, si sposa, fa due figli, scappa, si iscrive al Partito comunista, si risposa con Lessing (per lui un impietoso ritratto, nell’autobiografia), ha un figlio, Peter, minorato, e nel 1949 pianta di nuovo baracca e burattini e parte per l’Inghilterra, però stavolta col piccolo Peter al seguito.
Nel 1950 l’esordio narrativo con L’erba canta, un romanzo breve che già porta dentro di sé molti dei suoi futuri temi: un uomo e una donna progressisti tentano di gestire un’azienda agricola, nell’Africa razzista, senza ricorrere ai sistemi di sfruttamento classico dei neri, ma senza riuscirci, e cadendo in un’implosione del loro stesso matrimonio. Fra il 1951 e il 1969 ecco il ciclo di Martha Quest, I figli della violenza (due dei cinque volumi ancora non tradotti in italiano, Landlocked e The Four-Gated City). Com’era stato per lei negli anni di Salisbury, Martha affronta il lavorio sull’identità di donna, sui compiti familiari, ma anche il razzismo e la politica. È di quel periodo Il taccuino d’oro, l’opera che le dà fama grande.
Sotto un altro profilo, è il 1956 per lei un anno cruciale: dà il definitivo addio all’idea comunista e, contemporaneamente, viene bandita come persona non grata dal suo paese, lo Zimbabwe, per le sue prese di posizione sull’apartheid.
Il 1983 è l’anno in cui la celebre Doris Lessing si diverte a beffare l’establishment editoriale britannico: col nome fittizio di Jane Somers propone un Diario che viene rifiutato e che, quando lei uscirà allo scoperto, diventerà un altro libro di culto. Del 1988 è Il quinto figlio, splendida storia di un bambino-elfo che porta dolore dove c’era ordine.
Corre negli anni, intanto, la sua vena narrativa più sotterranea, quella fantascientifica o che, giacché Doris Lessing rifiuta anche questa etichetta, è meglio definire visionaria; da Memorie di una sopravvissuta al ciclo Canopus in Argos. Leggere questi romanzi aiuta a sciogliere uno degli equivoci che corrono sulla sua opera: è una scrittrice ‟realistica”, come la definiscono in molti? In realtà,è come se la materia di questa sua produzione ‟visionaria” battesse anche sotto il pavimento dei romanzi di costruzione in apparenza realistica e ne schiodasse le assi.
Il Nobel sarà una sorta di epitaffio per l’anziana, secondo alcuni ‟scaduta” Doris Lessing? No. Ieri, seduta sui gradini di casa, ha spiegato ai cronisti che il suo prossimo romanzo, Alfred and Emily, sarà dedicato ai suoi genitori e alle loro vite danneggiate dal primo conflitto mondiale: ‟Sarà un libro contro la guerra. Spero che qualcuno possa cambiare le teste di chi ci governa” ha detto. Speriamo arrivi sui comodini giusti. Se qualcuno, nel 2007, può ‟cambiar teste” è lei, la grande maestra del romanzo, con la meravigliosa voce potente con cui ha già dipinto, spogliato e radiografato il Novecento.

Doris Lessing

Doris Lessing (1919-2013) è nata a Kermanshah, in Iran, e ha vissuto fino a trent’anni in Zimbabwe (allora Rhodesia). Nel 1949 si è definitivamente trasferita in Inghilterra. Feltrinelli ha pubblicato: …