Suad Amiry su Niente sesso in città. Un colloquio

09 Novembre 2007
‟Scusami per non parlare bene l'italiano, stiamo aspettando Luisa Morgantini, io sono pronta ma gli italiani non sono mai pronti”. E' l'ironia l'arma di Suad Amiry. La usa nei suoi libri, la usa quando parla dei suoi libri. Come in occasione di una recente presentazione del suo ultimo romanzo, Niente sesso in città, in un'affollatissima libreria Feltrinelli a Roma. ‟A differenza dei miei libri precedenti, Sharon e mia suocera e Se questa è vita, che si riferiscono alla mia vita, questo invece parla di altre persone”.
Al Darna Restaurant, il locale più in di Ramallah, si riunisce periodicamente un gruppo di amiche alle prese con due problemi: la menopausa e il legame, per nascita o elezione, con la Palestina.
Dieci storie di donne. Sette della generazione dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina), tre più giovani (età compresa tra i 30 e i 40 anni). ‟Ho cercato di raccontare attraverso queste tre storie anche le differenze generazionali. Noi abbiamo solo fatto politica, le giovani lasciano più spazio al personale e all'estetica”. Tutte fanno parte del CRIMINE (Committee of Ramallah Independent Menopausal Inner Network Interprise). Intorno ad un tavolo e a del buon cibo ognuna parla di sé e della sua storia, divisa tra famiglia e chirurgia estetica, tra l'arrivo delle menopausa e la tormenta vicenda politica e sociale del Medioriente. Dal nazionalismo di Abdul Naser alla vittoria di Hamas (‟Ha già convertito in verde il rosso e il giallo dei semafori”), passando per la guerra del 1967 (‟I beni materiali quel giorno furono salvati; ciò che scomparve per sempre fu, ahimè, l'amicizia secolare tra ebrei e musulmani”), la questione libanese e Arafat (‟La scomparsa dell'uomo dal viso dolce e dagli occhi penetranti, assassinato dal Mossad, ha distrutto per sempre la mia esistenza”).
Sono gli anni 60 e, come nel resto del mondo, anche queste donne lottano per la liberazione sessuale, con in testa Marlon Brando. Fino all'avvento di Hamas in Palestina dove, ancora agli inizi degli anni 90, si portavano ancora le minigonne. ‟Devono essere stati quarant'anni di occupazione israeliana, un'occupazione traumatica, logorante, da esaurimento nervoso, a provocare la menopausa della Palestina, a trasformare un'intera nazione, rendendola depressa, imprevedibile, spesso incapace di controllarsi, isterica, a tratti addirittura suicida. Come si spiega sennò che la maggioranza dei voti sia andata ad Hamas?”.
Non bisogna dimenticare mai di chi sono le reali colpe di questa ventata di restaurazione. ‟Il vero problema non è Hamas ma l'occupazione israeliana e americana. Sono loro e il silenzio della comunità internazionale ad avallare Hamas. Confesso che questa vittoria mi ha intristita, sono una donna laica, di sinistra e perciò a favore di una società aperta. Dopo la vittoria, oltre all'occupazione ci siamo ritrovati ad affrontare anche una società conservatrice. Il mondo occidentale non ascolta la mia voce e delle donne come me, perché preferisce ragionare per stereotipi”.
Come per l'architetta Suad Amiry, anche per queste donne l'autocompatimento non è stato mai considerato un atteggiamento costruittivo. Anzi, è proprio a causa della loro militanza e del loro attivismo che sono state cacciate dalla Palestina. ‟C'è la figlia di uno shahid (martire), incazzatissima con il padre perché avalla l'idea occidentale che i palestinesi vogliono morire anziché vivere. Un'altra ha perso la figlia per colpa di un soldato israeliano. L'americana Ann è nata sotto l'occupazione militare in Giappone e rischia di morire in quella in Palestina”.
Poi c'è quella pagina, la 92. Sotto il nome dell'israeliana Judy, un foglio bianco. ‟Lei è una mia carissima amica, ha 80 anni e fa parte delle donne in nero che ogni venerdì si riuniscono a Gerusalemme ovest. Anche lei fa parte del CRIMINE. Solitamente agli israeliani non è consentito entrare nei territori occupati così quando torna a casa dalle nostre cene le fanno sempre un sacco di domande. Lei balbetta qualcosa e dopo un po' la lasciano passare”. I palestinesi sono tre milioni e mezzo, gli israeliani meno di un milione. Eppure i palestinesi non esistono. La lingua non c'è, la storia è negata, le case distrutte. ‟Così - racconta ancora Suad - doveva succedere prima o poi che almeno un'israeliana provasse la sensazione che proviamo noi ogni volta”. Quanto al futuro della Palestina, Suad respinge l'ipotesi di consolidare l'attuale divisione con la striscia di Gaza sotto il controllo di Hamas e la Cisgiordania guidata da Abu Mazen. ‟Spero invece in un nuovo governo d'unità nazionale: bisogna riconoscere la vittoria di Hamas, una vittoria democratica, cosa che Fatah ha sbagliato a non fare. Senza mai dimenticare che il vero problema rimane l'occupazione israeliana”. Mentre si alza per andarsene tiene a precisare: ‟In Palestina di sesso se ne fa in abbondanza, basta dare un'occhiata alle statistiche dell'andamento demografico”.

Niente sesso in città di Suad Amiry

Al ristorante Darna, a Ramallah, si riunisce periodicamente un gruppo di donne accomunate da due elementi: la menopausa e il legame, per nascita o elezione, con la Palestina. Intorno al tavolo, sul quale si succedono le prelibatezze assemblate nella cucina del galante Usamah, si intrecciano le stor…