Enrico Franceschini: Londra. La rivolta della City contro la Moschea
07 Novembre 2007
Doveva essere la moschea più grande d’Europa, con una capienza da stadio, oltre 70 mila fedeli, e un’architettura che la facesse svettare sopra i grattacieli della City, quasi ad affermare il primato dell’Islam sull’altro dio che domina questa città, e un po’ tutto l’Occidente: il denaro, il business, il mercato. Il terreno era già stato acquistato, nella parte orientale di Londra, l’East End, il quartiere dove ondate successive di immigrati sbarcavano dal continente in cerca di opportunità, lo stesso che dovrebbe essere completamente trasformato dal villaggio olimpico in via di costruzione per i giochi del 2012. I finanziamenti erano stati stanziati, un milione e 600 mila sterline, quasi due milioni e mezzo di euro. E un noto architetto musulmano aveva pronto il progetto. Ma l’iniziativa sta suscitando tali e tante proteste che i promotori saranno probabilmente costretti a modificarla: una moschea più piccola, in grado di ospitare meno fedeli, con un’architettura meno vistosa. E anche così non è chiaro come andrà a finire.
Dispute sulle moschee che, sull’onda di milioni di immigrati dai paesi islamici, sono spuntate come funghi in tutta Europa, diventano sempre più frequenti: in Belgio, in Francia, in Germania, in Italia, residenti e autorità esprimono disagio all’idea che i campanili di nazioni cristiane debbano tutto a un tratto competere con le torri dei minareti di Allah. Ma il caso di Londra è diverso, per almeno due ragioni. Una riguarda le dimensioni: la nuova moschea doveva essere la più grande del Regno Unito e di tutta Europa, un complesso mastodontico, comprendente giardini, ristoranti, negozi, con il chiaro obiettivo di coinvolgere, e convertire, sempre più fedeli. Il fatto che sarebbe sorta a Newham, la periferia degradata dove si progetta il villaggio per gli atleti che parteciperanno alle Olimpiadi del 2012, oltretutto a poca distanza dalla City, dai suoi grattacieli, dalle sue banche, insomma dai simboli del capitalismo, rappresentava un secondo motivo di disappunto per le autorità locali.
La seconda ragione riguarda la mente dietro la moschea: Jama’at al Tablighi, una setta islamica fondata in Pakistan, con milioni di adepti e una passione per la segretezza, il cui tipo di Islamismo predica una maggiore aderenza ai precetti del Corano e una certa diffidenza nei confronti degli "infedeli", ossia dei cristiani. Fonti dei servizi segreti americani e britannici, secondo l’Herald Tribune, sospettano che il messaggio evangelico della setta celi un fertile terreno di reclutamento di terroristi. Due degli attentatori suicidi che si sono fatti saltare nel metrò di Londra nel luglio 2005 avevano partecipato a riunioni della setta.
I primi a opporsi al progetto sono stati i militanti del British National Party, il partito nazionalista xenofobo britannico: la cui petizione per bloccare i lavori della moschea ha raccolto in pochi mesi 250 mila firme. Ma quando uno storico della religione, Karen Armstrong, ha scritto un articolo sul quotidiano progressista Guardian sostenendo che era giusto permettere la costruzione della moschea, un diluvio di lettere di protesta ha inondato anche il giornale della sinistra britannica. Poi anche la Christian Peoples Alliance, un’associazione cristiana, ha lanciato una campagna contro l’iniziativa: ‟Quella setta predica il separatismo”, afferma Alan Craig, presidente del gruppo, ‟ci chiamano "kafir", miscredenti, un termine con una forte connotazione negativa. Non vogliamo questa moschea a Londra. Sarebbe un disastro”.
Sensibili alle critiche, o convinti che non avrebbero ricevuto l’approvazione delle autorità municipali, i dirigenti della Jama’at al Tablighi hanno allora cambiato il progetto: ora hanno intenzione di erigere una moschea da 12 mila posti, con un’architettura meno imponente, affidata a uno studio di architetti inglesi, non più a musulmani. Aggiungono che i lavori cominceranno solo dopo le Olimpiadi di Londra del 2012. Anche così, tuttavia, polemiche e preoccupazioni restano nell’aria.
Nell’East End di Londra oggi gli immigrati musulmani sono quasi il 25 per cento della popolazione, e crescono ad alto ritmo. Hanno già molte moschee, di piccole e medie dimensioni, ma ne vogliono di più. Le sette radicali dell’Islam fanno proselitismo fra i nuovi immigrati. E la capitale multietnica del mondo, di colpo, si interroga sulla propria identità futura.
Dispute sulle moschee che, sull’onda di milioni di immigrati dai paesi islamici, sono spuntate come funghi in tutta Europa, diventano sempre più frequenti: in Belgio, in Francia, in Germania, in Italia, residenti e autorità esprimono disagio all’idea che i campanili di nazioni cristiane debbano tutto a un tratto competere con le torri dei minareti di Allah. Ma il caso di Londra è diverso, per almeno due ragioni. Una riguarda le dimensioni: la nuova moschea doveva essere la più grande del Regno Unito e di tutta Europa, un complesso mastodontico, comprendente giardini, ristoranti, negozi, con il chiaro obiettivo di coinvolgere, e convertire, sempre più fedeli. Il fatto che sarebbe sorta a Newham, la periferia degradata dove si progetta il villaggio per gli atleti che parteciperanno alle Olimpiadi del 2012, oltretutto a poca distanza dalla City, dai suoi grattacieli, dalle sue banche, insomma dai simboli del capitalismo, rappresentava un secondo motivo di disappunto per le autorità locali.
La seconda ragione riguarda la mente dietro la moschea: Jama’at al Tablighi, una setta islamica fondata in Pakistan, con milioni di adepti e una passione per la segretezza, il cui tipo di Islamismo predica una maggiore aderenza ai precetti del Corano e una certa diffidenza nei confronti degli "infedeli", ossia dei cristiani. Fonti dei servizi segreti americani e britannici, secondo l’Herald Tribune, sospettano che il messaggio evangelico della setta celi un fertile terreno di reclutamento di terroristi. Due degli attentatori suicidi che si sono fatti saltare nel metrò di Londra nel luglio 2005 avevano partecipato a riunioni della setta.
I primi a opporsi al progetto sono stati i militanti del British National Party, il partito nazionalista xenofobo britannico: la cui petizione per bloccare i lavori della moschea ha raccolto in pochi mesi 250 mila firme. Ma quando uno storico della religione, Karen Armstrong, ha scritto un articolo sul quotidiano progressista Guardian sostenendo che era giusto permettere la costruzione della moschea, un diluvio di lettere di protesta ha inondato anche il giornale della sinistra britannica. Poi anche la Christian Peoples Alliance, un’associazione cristiana, ha lanciato una campagna contro l’iniziativa: ‟Quella setta predica il separatismo”, afferma Alan Craig, presidente del gruppo, ‟ci chiamano "kafir", miscredenti, un termine con una forte connotazione negativa. Non vogliamo questa moschea a Londra. Sarebbe un disastro”.
Sensibili alle critiche, o convinti che non avrebbero ricevuto l’approvazione delle autorità municipali, i dirigenti della Jama’at al Tablighi hanno allora cambiato il progetto: ora hanno intenzione di erigere una moschea da 12 mila posti, con un’architettura meno imponente, affidata a uno studio di architetti inglesi, non più a musulmani. Aggiungono che i lavori cominceranno solo dopo le Olimpiadi di Londra del 2012. Anche così, tuttavia, polemiche e preoccupazioni restano nell’aria.
Nell’East End di Londra oggi gli immigrati musulmani sono quasi il 25 per cento della popolazione, e crescono ad alto ritmo. Hanno già molte moschee, di piccole e medie dimensioni, ma ne vogliono di più. Le sette radicali dell’Islam fanno proselitismo fra i nuovi immigrati. E la capitale multietnica del mondo, di colpo, si interroga sulla propria identità futura.
Enrico Franceschini
Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …