Vittorio Zucconi: Usa. Il paese fondato sulle pistole

23 Novembre 2007
Ancora più della pena di morte, che separa e isola gli Stati Uniti dalle democrazie occidentali, è il diritto individuale a possedere armi da fuoco che li rende unici nel mondo. Con 200 milioni di pezzi, tra pistole, revolver, doppiette, fucili semiautomatici e mitra per 305 milioni di residenti, neonati e vegliardi inclusi, il culto della polvere da sparo, la American gun culture è una parte integrale e fondante della "cultura" americana, del modo in cui l´America immagina sé stessa. Concepire un´America disarmata, scrisse 20 anni or sono l´umorista Art Buchwald tentando di sorridere, sarebbe come immaginare una Francia senza formaggi.
Il fatto che il camembert non abbatta migliaia di persone all´anno come fanno le Colt, Smith & Wesson, Glock, Uzi, Winchester, Walther, Luger e tutte le armi che formano l´immenso arsenale privato americano, non ha mai scosso la storia d´amore e di morte che lega generazione dopo generazione di cittadini alle loro gun. Da 216 anni, da quel 1791 quando i Padri fondatori aggiunsero alla Costituzione il secondo emendamento che sembra proteggere il diritto a portare armi, la Corte Suprema respinge ogni tentativo di leggere anche la prima parte di quell´emendamento, nella quale il diritto sembra, ma soltanto agli oppositori, condizionato dalla ‟necessità di avere una ben organizzata milizia”.
Anche quest´ultima sfida costituzionale, portata dal governo della città di Washington dove la vendita di pistole e fucili è proibita, finirà come tutte le altre ribellioni che grandi eventi tragici suscitano, prima che le acque si calmino. Il pubblico internazionale può rabbrividire quanto vuole di fronte alle periodiche, puntuali stragi di innocenti nei licei e assistere incredulo alle proiezioni dei film di Michael Moore. "The gun" è la pietra sulla quale sono state costruite la chiesa laica dell´America e la sua identità. La Bibbia e il fucile, Cristo e la Colt marciano insieme, soprattutto nel Sud, nel West, nel Sud Ovest, sulla via dell´empio, ma reale, neo-vangelo americano.
Dai moschetti dei conquistadores spagnoli arrivati sulle rotte tracciate da Colombo e Vespucci, agli MI6 imbracciati dai Marines e dai fanti oggi in Iraq la storia dell´America è scritta dalle pallottole. Millenni di storia e di imperi in Europa, in Asia, in Africa erano stati scritti con le picche, gli archi, le spade, le scimitarre, prima che fosse esploso il primo proiettile da una bombarda o da un pistolet. Ma l´America del Nord non avrebbe visto attecchire e poi dilagare verso Ovest la marea bianca se quegli uomini venuti dal mare non avessero posseduto armi da fuoco, sconosciute ai nativi. Nel mito divenuto, come tutti i miti, realtà il West fu prima vinto e poi pacificato dalle carabine e dalle six shooter, le pistole a tamburo con sei colpi, imbracciate da pionieri, coloni, vaccari, bandidos, sceriffi, rinnegati, Buffalo Bill, contrabbandieri, mafiosi, G-Men, Us Marshal, detective della Pinkerton, soldati blu, soldati grigi, spie, vigilantes, bravacci, esaltati e accomunati da una cultura popolare - da Fenimore Cooper a Jack Bauer di ‟24” - che censura arcignamente il sesso ma celebra gli spari, nella piedigrotta di un fuoco incrociato che è la colonna sonora della storia americana.
Ma sarebbe un errore pensare che quel grido espresso in un famoso musical, "Anna prendi il fucile" (Oscar del 1951) sia l´effetto del lavoro di una lobby fanatica e demenziale, che regala carabine ai nuovi correntisti e ignora le centinaia di bambini ammazzati dal papà che ‟puliva l´arma”. E´ la cultura della pistola ad avere prodotto le 147 lobby che la difendono contro ogni limitazione seria. Non sono le lobby ad avere generato la gun culture. La rassegnazione, di fronte a un mare di armi che nessuno si illude di poter prosciugare è ormai avvenuta. Lo dimostrano i candidati in corsa per la prossima Casa Bianca, tra i quali neppure i democratici importanti mettono in discussione il diritto, sapendo che sarebbe un suicidio.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …