Fabrizio Tonello: Presidenziali USA. Middle class, cioè operai: è loro il voto decisivo

08 Settembre 2008
In un anno in cui tutto dovrebbe favorire i democratici, Barack Obama non riesce a uscire dal cliché in cui lo sta rinchiudendo la propaganda dei repubblicani: una rock star, un vanesio, un arrogante del tutto impreparato a guidare il paese. Accettando di trasformare la campagna elettorale in un duello di personalità, Obama rischia seriamente, in fondo, John McCain -un eroe di guerra dalla pelle bianca e con 25 anni di esperienza politica alle spalle - è più rassicurante di lui, senatore al primo mandato dalla pelle color caffelatte.
La convention di Denver, tutta dedicata a mostrare che Obama è più americano di ogni altro americano perché ama la bandiera a stelle e strisce, il dio cristiano e la sua famiglia, appare non solo difensiva ma fuori tema, perché è solo misurandosi con la catastrofica eredità di George Bush e con i suoi effetti sulla vita quotidiana che i democratici possono vincere queste elezioni.
Il mese scorso Stan Greenberg, sondaggista di Bill Clinton, è tornato a intervistare gli operai (o ex operai) della contea di Macon vicino a Detroit, i più colpiti dalla crisi dell'auto, e i risultati non sono incoraggianti per i democratici: fra loro John McCain sopravanza Obama di 7 punti percentuali. Cosa non sorprendente visto che il candidato democratico finora ha condotto una campagna letargica sul terreno dell'economia. Salvo una proposta di defiscalizzare il prezzo della benzina, Obama non ha fatto nessuna specifica proposta per aumentare i salari, aiutare le famiglie che non riescono a pagare il mutuo della casa, garantire l'assistenza sanitaria pubblica, affrontare il problema dei debiti che strangolano milioni di famiglie della classe media.
Terrorizzati dall'idea di apparire troppo radicali, i democratici americani rifiutano di affrontare l'esplosione delle disuguaglianze nella società americana, dove la concentrazione di ricchezza è tornata ai livelli del 1929, il che non è l'ultima ragione della profondità della crisi attuale (allora scoppiò la bolla speculativa borsistica, nel 2007 quella immobiliare). La differenza rispetto al 1932 è che Franklin Roosevelt aveva ben chiaro come l'uscita dalla crisi esigesse una redistribuzione del reddito, mentre oggi questo tema è tabù (40 anni di propaganda repubblicana lasciano il segno).
Dal 1980 a oggi i democratici hanno condotto tutte le campagne elettorali nello stesso modo: cercando di presentarsi come dei «repubblicani di buon senso», compassionevoli verso i ceti più deboli senza mettere in discussione le leggi del mercato. Quando poi scoprivano, a 15 giorni dal voto, di essere indietro nei sondaggi, rispolveravano un po' di protezionismo, dando la colpa della stagnazione dei salari alla concorrenza delle merci straniere, all'immigrazione clandestina o alle delocalizzazioni in Messico. Con un po' di populismo dell'ultima ora recuperavano qualche manciata di consensi... per poi perdere le elezioni.
Quest'anno, il fatto che Hillary Clinton raccogliesse sostanziosi consensi in stati come Ohio, Pennsylvania, Michigan è stato attribuito variamente alla novità della candidatura femminile, o a radicate diffidenze tinte di razzismo verso Obama. La realtà è più semplice: Hillary è stata molto più specifica del suo avversario sul tema della sanità, che è una voce sempre più difficile da sostenere nel bilancio delle famiglie. Proponendo un sistema a copertura universale, di fatto faceva sperare le famiglie che stentano a quadrare il bilancio in un risparmio di 300-400 dollari al mese, un'iniezione di reddito ben maggiore di quella di qualsiasi contratto.
Obama ha davanti a sé due strade: può fare la politica dei democratici italiani e dei socialisti francesi, che sfidano i conservatori cercando di assomigliargli il più possibile, oppure può prendere atto che una questione operaia esiste, anche se i lavoratori americani preferiscono definirsi middle class. Tanto più che la diseguaglianza è particolarmente acuta negli stati di cui ha bisogno per vincere in novembre.

Fabrizio Tonello

Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …