Fabrizio Tonello: Presidenziali USA. Obama promette serbatoi pieni e prezzi calmierati. Ma come?

08 Settembre 2008
Il ritorno dalle acclamazioni europee è stato duro per Barack Obama. Se il candidato democratico alla presidenza degli Stati uniti sperava di accreditare la sua immagine presidenziale facendosi fotografare con il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel, l'obiettivo non è stato raggiunto: una conferma di più dell'indifferenza degli americani per il resto del mondo.
Invece, i nuovi collaboratori del candidato repubblicano John McCain hanno diffuso una raffica di spot televisivi che puntavano ad alimentare il risentimento del cittadino medio verso Obama, paragonato a una star dello spettacolo - ovviamente lontane dai valori dei «veri americani». Per associazione anche Obama sarebbe persona «differente», inaffidabile, come non si stancano di ripetere gli editorialisti conservatori; il Wall Street Journal ha addirittura trasformato in argomento politico il fatto che sia alto e magro, al contrario dei suoi concittadini tendenzialmente grassocci, quando non obesi (il giornale di Murdoch usa un argomento sbagliato: il presidenti americani sono stati spesso più alti della media dei loro concittadini, a cominciare da George Washington e Franklin Roosevelt, fino a George Bush padre).
Il vero problema per Obama è stato piuttosto il successo di McCain con la sua proposta di cancellare il divieto di trivellare in mare lungo le coste americane alla ricerca di nuovi pozzi di petrolio. Il divieto, tenacemente difeso dagli ecologisti, è in vigore dal 1981 e ha resistito a ben cinque amministrazioni repubblicane alla Casa Bianca: è bastato che il prezzo della benzina toccasse la soglia psicologica di 4 dollari al gallone (cioè circa 1 dollaro al litro, 65 centesimi di euro) perché il «cittadino John Smith» perdesse la testa e chiedesse di fare qualsiasi cosa pur di far scendere il prezzo della benzina. Va ricordato che l'americano medio consuma molta più benzina di un europeo, soprattutto a causa della povertà del trasporto pubblico e di uno sviluppo urbanistico basato sull'espansione senza fine di sobborghi residenziali sempre più lontani dal posto di lavoro.
Il brusco rincaro della benzina fa dire all'81% dei cittadini che trovare nuove fonti di energia è una priorità nazionale. Non solo: il 65% sostiene che il problema non è ridurre i consumi ma avere più energia, solo il 31% è di opinione contraria. Pur di poter continuare a godere di energia a basso costo, il 52% è favorevole a nuove centrali nucleari e il 44% a sacrificare l'ambiente, per esempio cercando petrolio nelle aree attualmente protette.
I repubblicani, storicamente il partito dei petrolieri, sono riusciti a convincere l'opinione pubblica americana che il problema energetico risiede in una insufficienza dell'offerta e non in un aumento della domanda. Pproprio il contrario dei fatti: l'aumento del prezzo del barile fino a 147 dollari era dovuto alla crescita della domanda mondiale, in particolare di Cina e India, non al fatto che ci sono troppo pochi giacimenti. Per di più, qualsiasi nuova esplorazione richiede molto tempo prima di essere messa in funzione, un problema su cui ovviamente i repubblicani tacciono.
Questo approccio ha conseguenze politiche enormi: Bush e le lobby petrolifere implicitamente sostengono che gli americani possono continuare a consumare allegramente il 25% del petrolio mondiale pur rappresentando solo il 5% della popolazione. I fuoristrada che fanno 5 chilometri con un litro, il condizionamento d'aria che porta la temperatura degli uffici e delle case a 18° anche quando fuori ce ne sono 36°, e tutti gli altri sprechi energetici potrebbero tranquillamente continuare.
Purtroppo i democratici in Congresso, attenti ai sondaggi che dicono loro di non scontentare gli elettori (si vota anche per Camera e Senato in novembre) hanno pasticciato goffamente, cercando di non scontentare nessuno: per non alienare gli elettori ecologisti continuano a opporsi alle ricerche in mare o nella riserva naturale dell'Artico, ma nello stesso tempo hanno accettato il principio di nuove trivellazioni, sui 68 milioni di acri che le compagnie petrolifere hanno a disposizione ma non usano, rafforzando in questo modo l'idea che avere più petrolio «nazionale» a disposizione sia la ricetta giusta.
In un lungo discorso a Lansing, in Michigan, lunedì scorso, Obama ha cercato di indicare una strada per uscire dalla crisi energetica ma non è riuscito a riassumere le sue molte proposte in uno slogan chiaro e comprensibile per gli elettori. Il candidato democratico è partito con il piede sbagliato, definendo la «dipendenza dal petrolio straniero» come un «problema di sicurezza nazionale», forse la crisi «più grave mai attraversata», dando agli ascoltatori l'impressione che se gli Stati Uniti producessero tutto il petrolio di cui hanno bisogno tutto andrebbe per il meglio. Il tono del discorso è stato fortemente nazionalista, rivendicando l'autonomia energetica del paese, che non dovrebbe dipendere da «tiranni» e da paesi «ostili» per le sue necessità energetiche (gli elettori ovviamente non ricordano che i «tiranni amici», come lo Scià in Iran e la dinastia Saud in Arabia sono stati messi al potere e protetti per decenni esattamente al fine di continuare a godere di petrolio a basso costo). Anche la proposta di vendere parte delle riserve strategiche detenute dal governo per calmierare i prezzi è palesemente una non-soluzione, poiché l'effetto sui mercati non potrebbe che essere di breve duata.
Obama ha poi preso una strada più coerente con le tradizioni del partito, ricordando agli americani che gli Stati Uniti consumano petrolio per 700 milioni di dollari al giorno e che, a questo ritmo di consumi mondiali, l'oro nero sarà probabilmente finito entro il 2023, tra 15 anni appena. La sfida, ha detto, è quella di creare centinaia di posti di lavoro nell'area delle energie pulite e rinnovabili, in particolare creando una nuova generazione di veicoli che consumino pochissimo, cosa che i lavoratori del Michigan sono in grado di fare nel giro di pochissimi anni (il Michigan è storicamente il cuore dell'industria automobilistica americana e questo suonava molto come uno zuccherino per la platea).
Obama ha riscosso un certo successo con la sua proposta di dare un rimborso fiscale di 1000 dollari a ogni famiglia per compensare le maggiori spese per i trasporti: il bonus dovrebbe essere finanziato con la tassazione dei sovraprofitti delle compagnie petrolifere, che il mese scorso hanno presentato bilanci record. E ha concluso riaffermando che «non potremo uscire da questa crisi trivellando di più». Insomma: un discorso articolato e plausibile, che però non si traduce in una linea abbastanza semplice e chiara per gli elettori. Non a caso lo spot televisivo diffuso questa settimana sul tema dell'energia attacca McCain perché alleato dei petrolieri ma non fa proposte energetiche alternative.
La paradossale conclusione è che l'amministrazione Bush, definita da Gore Vidal una «giunta di petrolieri», è ancora in grado di dettare i temi della discussione in materia di energia mentre i democratici sembrano in difficoltà per offrire proposte precise. Questo è un problema molto grave per Obama, perché le elezioni si giocheranno assai più sull'economia e sulla credibilità dei candidati nell'offrire ai cittadini proposte nuove che non sulla politica estera o sull'Iraq. Benché i democratici rimangano favoriti, la loro timidezza sui programmi rimane un handicap per il partito.

L'affaire Edward
Se mai avesse avuto qualche chance la speranza di un ruolo nel futuro governo di Barack Obama sembrano sfumate per John Edwards. L'ex candidato alla vicepresidenza degli Stati uniti (nel 2004, con John Kerry) ha ammesso ieri di aver avuto una relazione extraconiugale, e di aver mentito in proposito durante la recente campagna per le primarie (da cui è stato comunque eliminato presto). Edwars, che parla di «errore» e dice di aver avuto il perdono della moglie, ebbe un affaire nel 2006 con la regista dei documentari della sua campagna. Nega però di averle dato una figlia.

Fabrizio Tonello

Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …