Giorgio Bocca: I pescecani e il popolo bue

01 Dicembre 2008
Ci voleva la grande crisi, più grande di quella del '29, così grande che i grandi della Terra né sanno da dove arrivi né come tamponarla, per smascherare le umane presunzioni, le umane ignoranze, l'umana demenza. ‟Viva la Ca' Granda”, come si cantava in Piemonte, viva la gabbia dei matti!
La grande crisi mette a nudo gli uomini più superbi, i più sapienti. Dove sono finiti? Sono in televisione o sui giornali o ai summit mondiali anticrisi per dire che, come il più umile degli ignoranti, non sanno cosa stia accadendo, perché accada, come se ne esca. Sanno soltanto, pensate un po', che l'unica cosa da fare è quella del pessimismo siculo: ‟Chinati giunco”, chinati uomo debole, lascia che passi l'onda di piena che dopo, se sarai ancora vivo, ti alzerai.
Li avete ascoltati nei giorni di grande crisi i potenti e i saggi della Terra? Quello che sta in Vaticano ha detto che il denaro non conta, è come la sabbia del deserto, basta un soffio di vento per disperderla. Ma non è con quella sabbia, con quella polvere che ha fatto delle sua sede terrestre il più ricco palazzo del mondo? Non è con quella polvere che sostiene i suoi missionari, le sue opere di carità, la sua propaganda della fede?
Nei giorni più travolgenti della crisi i grandi saggi sono saliti sulle loro cattedre per raccomandare agli ignoranti: "Nervi a posto! Ragionate! Non perdete la testa!". Ma si può? È come chiedere agli agnelli di non avere paura del lupo che sta facendo strage, come raccomandare: "Noi siamo, come ci chiamate, i vostri pescecani, ma adesso seguite i nostri consigli". Gli economisti non per nulla sono chiamati i dottori della ‟triste scienza”. Di professione fanno previsioni sbagliate, predicano l'impotenza o addirittura giustificano i lupi. Quelli della crisi attuale sono già al lavoro. "Non stracciamoci le vesti - dicono - le grandi crisi in fondo sono necessarie, la ricchezza umana a guardar bene nasce dal superamento delle difficoltà". È la filosofia dei superstiti, dei fortunati, è l'assoluzione dei colpevoli. I colpevoli a parole vanno puniti, vanno cacciati, ma chi è colpevole in un mondo di matti? Così i Ceo delle grandi aziende vadano pure in pensione ai Caraibi con liquidazioni miliardarie. Siamo persone civili, non è vero? Siamo democratici, contro le pene capitali, non è vero? In questo i saggi, i maestri, toccano un tasto, come dire, popolare. Una di queste sere di crisi alla televisione hanno fatto parlare uno dei lupi, dei pescecani, che ha spiegato per filo e per segno come vendeva ai gonzi i ‟titoli spazzatura” guadagnandoci miliardi, e quando gli hanno chiesto come ci sia riuscito, ha risposto: "Perché sono bravo". Gli spettatori lo hanno linciato? No, è risuonato un grande, sincero applauso.
La grande crisi conferma ciò che si sa del popolo bue, che essendo tale viene chiamato dai potenti il ‟popolo sovrano”. Sovrano di che? Di sentire il capo del governo raccomandare ai sudditi spennati "ascoltatemi, è ora di comprare le azioni". Un consiglio buono per gli speculatori ribassisti che con la crisi hanno fatto montagne di soldi, non per chi dalla crisi è stato spennato.
Ma ha ragione Silvio, la sua popolarità non è mai stata così alta. Da quando predica la sicurezza come la prima richiesta dei cittadini, non c'è mai stata una crescita della malavita organizzata come adesso, che il ministro Maroni parla di una vera guerra contro lo Stato. Comunque calma, non perdete la calma.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …