Diritto (laico) alla vita. La vita e le regole di Stefano Rodotà

22 Giugno 2006
La vita è un movimento ineguale, irregolare e multiforme. È una delle citazioni che Stefano Rodotà pone in exergo all’inizio del suo La vita e le regole. Tra diritto e non diritto. È di Montaigne, e sta a significare la natura scettica, problematica e insieme libertaria di un approccio laico, che è poi quello di Stefano Rodotà, ai dilemmi bioesistenziali e giuridici del nostro tempo. Un approccio che rifiuta di ingabbiare la multiformità dell’esistenza, specie quella liberata dalla complessità della ‟mutazione antropologica” presente (scienza che invade la vita e la ricrea dal nulla o quasi). Ma c’è un altra frase in exergo: ‟La vie, la vraie”. Ovvero la vita, quella vera! E sta in Francia all’ingresso degli ipermercati Auchan. Ad esaltare l’immersione totale del mondo delle merci, l’unico a dar senso alla vita. Perché questa scelta di citazioni all’inizio del denso volume presentato ieri a Roma con l’autore nella Sala del Cenacolo del Senato da Tamar Pitch, Giuliano Amato, Anna Finocchiaro e Giacomo Marramao alla presenza di Fausto Bertinotti? Perché sono il prologo dei dilemmi che Rodotà, già garante della privacy e studioso dei diritti moderni, affronta. Frontiera ignota, dice lui stesso. E inaugurata da una situazione inedita. In cui da un lato s’avanzano domande planetarie e di massa volte a suscitare normazioni minute e complicate. Laddove d’altro canto l’involucro delle normazioni soffoca quelle stesse domande, introducendo margini d’arbitrio e di controllo, comprimendo libertà e dignità delle persone, in nome di culture arcaiche o di mere esigenze di controllo del corpo sociale. Dunque, dal controllo informatico a quello delle scelte bioetiche. Dalla complessità inaudita ai dilemmi morali. Alla ricerca di unità di misura e di un senso comune etico che si faccia carico di limiti non arbitari e imposti (dalla Chiesa, ad esempio).
Ecco, di tutto questo si è parlato ieri, cercando di districare una tematica difficile e precaria che è poi quella che muove tutto il libro di Rodotà. Qual è la strategia dell’autore? Prova Tamar Pitch a spiegarlo. Intanto la giusta posizione dei problemi. ‟Il rifiuto di un’ idea preconfezionata di naturalità e normalità”, dagli stili di vita alle questioni procreative. Va contrastata la spinta a giuridificare tutto - dice Pitch - il che equivale a voler imporre screening capillarre sul vissuto di ciascuno: ‟Un nuovo ‟sorvegliare e punire” che colpisce alla fine solo chi non ha informazione o risorse, e quindi può sottrarsi alle imposizioni della legge 40”. Perciò, lotta alla paura, partecipazione alla selezione dei criteri etici su materie sensibili. Ma soprattutto ‟degiuridificazione” degli ambiti di vita da rimettere alle libere scelte. Critico invece Amato, neoministro dell’Interno, che non accetta il punto di vista ‟crociano”, come lui lo chiama, dello schizzo di storia evolutiva adottatto da Rodotà: ‟dai diritti economici, a quelli civili, politici e sociali, fino a quelli bioetici”. Come se a prevalere, come in Croce, ‟fosse sempre la libertà”. Il punto dice Amato resta il limite da trovare dinanzi all’invadenza imprevedibile della tecno-scienza. Valeva per la bomba atomica, vale ancor di più per gli Ogm, e ovviamente in Amato ‟per l’embrione”. Precauzione e limite sono per il Ministro le frontiere da segnare di volta in volta, consapevoli che in ballo c’è la responsabilità e che dunque una normazione ispirata a quei limiti deve pur esserci, se si vogliono rispettare la libertà e la dignità dell’Altro. Ribatte Finocchiaro, che riconosce la realtà inevitabile della paura dinanzi all’ignoto bioetico. Ma al contempo nota che la scienza stessa può schiudere possibilità capaci di superare certi dilemmi che oggi paiono insuperabili: ‟Dalle staminali embrionali a quelle adulte per la ricerca e la cura”. E ancora: ‟Occorre lavorare tutti su limiti condivisi e superare dilemmi la cui soluzione è già possibile: sì alla diagnosi preimpianto per evitare l’aborto”. Marramao richiama l’attenzione sulle ‟fratture identitarie antropologice dell’oggi, quando il confine tra naturale e non naturale sfuma. Verso un’etica condivisa, non opaca e fraterna, che si prenda cura degli individui”.
E infine chiude Rodotà. Non è vero - dice contro Amato - che i laici hanno operato all’ingrosso sull’embrione: ‟Si stava cercando di distinguere tra i vari stadi dell’ovocita, di stabilire limiti e differenze per la loro custodia. Ed è una caricatura l’idea di una manipolazione arbitaria della vita da parte dei laici”. E ha ragione da vendere Rodotà. Specie quando sostiene che è possibile uno ‟statuto dell’embrione” ragionevole, non dogmatico, rispettoso della libertà e della dignità umana. Chi ha detto che tra dogma e onnipotenza della tecnica non c’è una terza via?

La vita e le regole di Stefano Rodotà

Viviamo in una società satura di diritto, di regole giuridiche dalle provenienze più diverse, imposte da poteri pubblici o da potenze private. Negli ultimi secoli infatti il campo di esercizio del diritto si è via via esteso, inglobando questioni affidate un tempo al governo della religione, dell'e…