Amos Oz, l’eros e la scrittura tutto in otto ore: la vita a Tel Aviv

07 Aprile 2008
Amos Oz si siede alla scrivania ogni mattina alle 5.30 e lavora fino a mezzogiorno. Le pagine possono restare bianche, lavorare non vuol dire riempirle. ‟Con il tempo, ho sviluppato un mantra. Sono come un commerciante: apro il negozio e aspetto i clienti. Se vengono è una buona giornata; altrimenti, sto comunque facendo il mio dovere, seduto ad aspettare”. Negli anni le parole sono arrivate, clienti fedeli che ne portano di nuovi. La vita fa rima con la morte è il libro numero 31 di Oz. Un romanzo che lui stesso ha definito ‟insolito, non so come verrà accettato dal pubblico”. ‟È sul processo della scrittura - spiega al quotidiano israeliano Haaretz - ed è possibile che i lettori vogliano il piatto preparato, senza essere invitati in cucina”. Racconta otto ore in una notte di Tel Aviv e si sviluppa nella cucina-mente dello scrittore protagonista, un quarantenne due volte divorziato. Ha raggiunto la notorietà, ma continua a guadagnarsi da vivere come socio in un ufficio di contabilità. Oltre dieci pagine sono dedicate al suo incontro con Rachel Reznik, conosciuta a una lettura pubblica. ‟È la scena intima più lunga che io abbia mai scritto, la descrizione sessuale più dettagliata che si possa trovare nei miei libri. Microscopica. Volevo essere preciso. Precisione è stata la mia parola chiave”. Carne e carni. ‟Ma non è una macelleria”, precisa. Lo scrittore vive da 21 anni ad Arad, nel deserto del Negev. Il suo studio è un garage convertito, dalla finestra si vedono gli alberi di limone e i cipressi nel giardino. Alle pareti, migliaia di libri. ‟Posso dire - racconta, sempre ad Haaretz - dove si trova ogni titolo. Non per niente, sono il figlio di un bibliotecario e il marito di un’archivista”. Nei fine settimana, si sposta a Tel Aviv, dove possiede un appartamento, per stare vicino ai nipotini. ‟Anche se vi ho ambientato pochissimi romanzi, è una città che amo. Amo la sua vitalità e il modo in cui è presa da se stessa, come una ragazzina”. Oz non usa Internet, non ha l’e-mail. ‟Non sono collegato. Mi piace parlare con degli sconosciuti nei caffè o per strada, non la comunicazione astratta sul Web. Per il resto, preferisco essere circondato dai libri e vivere con i miei libri”. Ricorda di essere nato così: ‟Fin da quando avevo cinque o sei anni, inventavo piccole storie nella mia testa e le raccontavo ad altri bambini. Era il mio modo di fare colpo sulle ragazze. E forse ancora lo è”.

La vita fa rima con la morte di Amos Oz

È una calda sera d'estate a Tel Aviv. Lo scrittore è seduto in veste di ospite d'onore a un incontro letterario. È assente. Le voci dei relatori gli arrivano opache, senza sostanza. Davanti a sé il pubblico. Lui spia volti, gesti, figure. Un timido e occhialuto adolescente. Un tipo malmostoso che…