Maurizio Maggiani: Il giornale, un lusso 
necessario
Sanno che se non sanno immaginarsi e costruire un oggetto insostituibili, quell’oggetto sarà sostituito in breve tempo da altri. Sanno che devono avere a disposizione un’intelligenza e una creatività che non è mai stata chiesta alle dieci generazioni di colleghi che li hanno preceduti. E l’alternativa è una sola: lasciar perdere, mettersi a fare dell’altro. Questo lo sanno tutti i giornalisti, redattori, direttori, tipografi del mondo. E lo so anch’io, e mio nipote Richi, e l’edicolante qui sotto, che comunque il suo stipendio se lo fa da un pezzo con i dvd e le figurine e i Gormiti. Lo sa Steve Jobs, genio profetico e astuto, che una settimana prima che questo giornale tenti la ventura di un‟ nuovo inizio” ha presentato al mondo l’iPad, la tavoletta che nelle sue ben studiate previsioni diventerà lo standard futuro per il consumo di informazioni, di qualunque genere di informazione, dalle notizie dell’ultima ora ai classici della letteratura, in video, audio e scrittura. Ma allora che senso ha darsi tutto questo da fare?
E che senso ha che io stia qui a scrivere il mio cinquecentesimo articolo su questo vetusto seppur nobile residuo della consumata civiltà di Gutenberg? Dovrei essere in questo momento a cercarmi un nuovo lavoro, visto che il mio mutuo prima casa scade ottimisticamente tra dieci anni. Guardate, con me la storia del fascino della carta stampata non attacca. So che c’è e che funziona: la mia compagna morirebbe se dovesse leggere un libro sull’iPad o trovasse chiusa l’edicola dove compra i suoi tre quotidiani. Ma se l’industria editoriale dovesse far conto su di lei e quelli come lei, potrebbe chiudere domani, perché rappresenta lo zero virgola qualcosa dei cittadini alfabeti di questo paese. Io sto scrivendo al computer e trovo infinitamente più affascinante la morbida luminosità ad alta definizione dello schermo che ho davanti e l’amichevole flessuosità della tastiera su cui diteggio le mie storie. No,non è questione di fascino,ma di necessità. La necessità di un lusso, se volete. Il giornale, un buon giornale, è un lusso.
È un lusso che paghiamo troppo poco e per questo non ci sembra tale. È un lusso la quantità di carta che sfogliamo, il lungo tempo che impieghiamo per leggerla; è un lusso l’applicazione intellettuale necessaria a comprendere e valutare un articolo che non sia semplice e nuda cronaca o annuncio. È un lusso lo spazio stesso dove riporre quella carta che ci dispiace buttar via, perché rimane pur sempre qualcosa in quella carta, fosse anche solo l’evenienza di fasciarci delle acciughe, per poterla considerare spazzatura; è un lusso fare i passi necessari per arrivare a comprarlo il giornale, sotto il sole cocente, sotto la pioggia a gronda.Ma siamo sicuri che i lussi, certi lussi, non ci siano necessari? È un lusso mantenere un paesaggio incontaminato, ma è proprio vero che la dignità della nostra vita potrebbe farne a meno? È un lusso persino un grande amore, ma siamo davvero tutti disposti a rinunciarci? Ma spesso il lusso confina e si confonde con lo spreco. E questo giornale sarebbe soltanto uno spreco se non fosse un buon giornale.
Questo è un buon giornale? Io credo che lo sia. Che abbia una dignità che le epoche non hanno consumato. Potrebbe essere migliore, deve essere migliore, e questo lo sanno tutti quelli che ci lavorano, perché sanno che il loro lavoro avrà una ragione di continuare ad essere solo se faranno meglio di quanto è mai stato fatto. Buona fortuna, buona fortuna a tutti quelli che vanno cercando di meritarla.