Nahui, musa delleros, che finì a vendere il ricordo di se stessa
18 Ottobre 2005
Musa e getta. Nel 1953, al cimitero parigino di Thiais, il giapponese Tsuguharu Foujita era l’unico artista presente ai funerali della leggendaria Kiki di Montparnasse, al secolo Alice Prin, la sulfurea modella che negli anni Venti infiammò le fantasie estetiche ed erotiche della Paris bohéme, finendo in quadri, pièce teatrali, poesie, film (e lenzuola) di gente come Picasso, Soutine, Derain, Léger, Prévert, Desnos ma, soprattutto, Man Ray, che la ritrasse in forma di violino nella celebre foto Violon d’Ingres (1924). Dimenticata, già demolita da alcol e droga, s’era ridotta a leggere la mano ai clienti dei bistrot.
Da Parigi spicchiamo un salto di otto anni e parecchie migliaia di chilometri. Fino a Città del Messico, 1961. Lungo Avenida Madero, dentro un abito logoro, striscia sonnambolica un’anziana signora. È ridotta solo un po’ meno peggio di Kiki: come lei ha fatto l’arte ed è stata messa da parte. Sotto i capelli tagliati alla garçonne secondo la moda del primo dopoguerra due occhi smeraldo, abbastanza grandi ‟per contenere tutto il mare” ha scritto qualcuno. Molto tempo addietro, in quel mare hanno perso la bussola pittori, fotografi e poeti. Adesso, però, a far da codazzo rimangono solo gatti randagi e scugnizzi che le strillano dietro Vieja bruja!, vecchia strega. La Seňora bofonchia mezze parole in francese. Per pochi pesos vende per strada vecchie foto in bianco e nero d’una giovane nuda e bellissima: è lei, una tonnellata d’anni e di memorie fa. Ed è sempre lei la figura che, a pochi metri di distanza, campeggia sui murales firmati dal colosso della pittura messicana Diego Rivera.
Chi si ricorda ancora di Carmen Mondragón? In America latina non moltissimi. In Italia solo Pino Cacucci, che alla ‟donna più bella di Città del Messico” dedica il suo ultimo libro Nahui, romanzo d’una vita contromano, spaccato di un’epoca sepolta in cui l’eros poteva ancora essere epos e i sentimenti avventura libertaria e iconoclasta.
Carmen era nata a Città del Messico l’8 luglio 1893. Papà è un arrembante generale, mamma una donna opaca e devota. Ma, in certi ambienti, l’educazione di una fanciulla in fiore non può restringersi ai precetti religiosi: ci vogliono pure lezioni di francese, pittura e solfeggio. Nonché buone letture europee, che sembrano mode inoffensive ma portano la peste. Carmen si immerge in Voltaire, Rousseau e Nietzsche, riempie quaderni di riflessioni e poesie. A vent’anni si fidanza senza trasporto col cadetto Manuel Rodriguez Lozano. Un militare sui generis: ama l’arte, la musica, le donne. Ma pure gli uomini. Pochi giorni prima delle nozze la ragazza sbotta davanti ai genitori: ‟Io non lo sposo, quel maricón”, quella checca. In fatto di passioni è famelica, non accetta mezze misure. Ma con Manuel convoleranno lo stesso. E saranno dolori. Primo fra tutti la morte misteriosa d’un figlio appena nato. Carmen, la virago, viene ingiustamente accusata di infanticidio. Il matrimonio è al capolinea. La vita da romanzo solo all’inizio.
Nel 1921, a un ricevimento, due corteggiatori illustri restano incagliati negli occhi smeraldo: Diego Rivera, artista geniale ma con una faccia ‟da rospo”, e il magnetico Gerardo Murillo, vulcanologo, pittore, libero pensatore engagé. Del primo Carmen diverrà musa e modella, del secondo anche amante. Totale, torrenziale e, ovviamente, chiacchieratissima. Lei ha 28 anni, lui 47. Prestante, calvo, una barba tempestosa, sembra la controfigura di Paul Verlaine. Si fa chiamare Dottor Atl (‟Acqua” in nahuátl, l’originaria lingua precolombiana) e a sua volta ribattezza la ragazza Nahui Olín, che all’antica cosmologia azteca sta per ‟movimento rinnovatore dei cicli astrali”, ‟moto perpetuo”, ‟energia”.
Di energia, Nahui ribolle. Come l’epoca in cui si trova a vivere: il Messico in fiamme dei tumulti operai e contadini, delle rivoluzioni tradite di Zapata e Pancho Villa. A cui la pittura fa eco riscoprendo le tradizioni indigene e convertendole in modernista epica popolare. L’arte deve uscire da musei e atelier per colorare le strade di murales. D’autore. Anche Carmen/Nahui decide di sporcarsi le mani, si tuffa nella pittura, sfornando tele a sua immagine: naïf ma molto poco rassicuranti. Dipinge corpi saldati nell’amore. Si fa dipingere e fotografare. Nel ’23 conosce la donna che prima e più di lei diverrà icona di quel Messico vulcanico (malgrado fosse friulana): Tina Modotti. Quasi coetanea di Nahui era nata a Udine nel 1986 ne avrebbe oscurato fama e bellezza grazie alle famose foto nature scattate dal compagno Edward Weston. Ma la ragazza-smeraldo non lasciò indenne nemmeno lui. ‟Oggi ho realizzato i migliori ritratti da quando sono in Messico: il viso di Nahui Olín” annotava sul diario. Per poi aggiungere: ‟Bisognerebbe essere di pietra per non innamorarsi di lei”.
Fugacemente e non ricambiata, si innamorò di lei perfno Hollywood. Nel ’27 fu invitata negli Studios per interessamento di Rex Ingram, regista di divi come Rodolfo Valentino e Douglas Fairbanks e della Divina Greta Garbo.
La fecero posare nuda in atteggiamento osé e appena lei capì che al massimo l’avrebbero ingaggiata come comparsa esotica se ne torno indietro sbattendo la porta. Sull’esperienza californiana spese parole che non hanno bisogno di traduzione e, ancora adesso, suonano d’una certa attualità: ‟Hollywood es una mierda”. Con Tina Modotti la rivalità rimase latente mentre la pittrice Frida Kahlo considerava Nahui poco più di una sgualdrina, erotomane compulsiva.
Nemmeno Gerardo Murillo, il vulcanologo che pareva Verlaine, riusci a frenare le eruzioni. Alla fine degli anni Venti Carmen si imbarca in un nuovo amore, massimalista come suo solito. Con il capitano di lungo corso Eugenio Agacino viaggiano da Cuba a Manhattan all’Europa. Ma, come Meryl Streep nella Donna del tenente francese, la vedremo presto aggirarsi inconsolabile tra i moli di Veracruz in attesa di un marinaio fantasma. Perché? Ve lo dirà il libro. Vi racconterà anche come nella vita di Nahui Olín abbiano fatto capolino Federico García Lorca, Pablo Picasso o Benito Mussolini. O come la donna più bella di Città del Messico arrivò a profetizzare niente di meno che la bomba atomica.
Oggi la parola trasgressione è praticamente sinonimo del suo contrario, di neoconformismo dopato, piercingato e discotecaro, concedetevi una sana regressione in quel Messico dove ancora si andava al massimo.
Da Parigi spicchiamo un salto di otto anni e parecchie migliaia di chilometri. Fino a Città del Messico, 1961. Lungo Avenida Madero, dentro un abito logoro, striscia sonnambolica un’anziana signora. È ridotta solo un po’ meno peggio di Kiki: come lei ha fatto l’arte ed è stata messa da parte. Sotto i capelli tagliati alla garçonne secondo la moda del primo dopoguerra due occhi smeraldo, abbastanza grandi ‟per contenere tutto il mare” ha scritto qualcuno. Molto tempo addietro, in quel mare hanno perso la bussola pittori, fotografi e poeti. Adesso, però, a far da codazzo rimangono solo gatti randagi e scugnizzi che le strillano dietro Vieja bruja!, vecchia strega. La Seňora bofonchia mezze parole in francese. Per pochi pesos vende per strada vecchie foto in bianco e nero d’una giovane nuda e bellissima: è lei, una tonnellata d’anni e di memorie fa. Ed è sempre lei la figura che, a pochi metri di distanza, campeggia sui murales firmati dal colosso della pittura messicana Diego Rivera.
Chi si ricorda ancora di Carmen Mondragón? In America latina non moltissimi. In Italia solo Pino Cacucci, che alla ‟donna più bella di Città del Messico” dedica il suo ultimo libro Nahui, romanzo d’una vita contromano, spaccato di un’epoca sepolta in cui l’eros poteva ancora essere epos e i sentimenti avventura libertaria e iconoclasta.
Carmen era nata a Città del Messico l’8 luglio 1893. Papà è un arrembante generale, mamma una donna opaca e devota. Ma, in certi ambienti, l’educazione di una fanciulla in fiore non può restringersi ai precetti religiosi: ci vogliono pure lezioni di francese, pittura e solfeggio. Nonché buone letture europee, che sembrano mode inoffensive ma portano la peste. Carmen si immerge in Voltaire, Rousseau e Nietzsche, riempie quaderni di riflessioni e poesie. A vent’anni si fidanza senza trasporto col cadetto Manuel Rodriguez Lozano. Un militare sui generis: ama l’arte, la musica, le donne. Ma pure gli uomini. Pochi giorni prima delle nozze la ragazza sbotta davanti ai genitori: ‟Io non lo sposo, quel maricón”, quella checca. In fatto di passioni è famelica, non accetta mezze misure. Ma con Manuel convoleranno lo stesso. E saranno dolori. Primo fra tutti la morte misteriosa d’un figlio appena nato. Carmen, la virago, viene ingiustamente accusata di infanticidio. Il matrimonio è al capolinea. La vita da romanzo solo all’inizio.
Nel 1921, a un ricevimento, due corteggiatori illustri restano incagliati negli occhi smeraldo: Diego Rivera, artista geniale ma con una faccia ‟da rospo”, e il magnetico Gerardo Murillo, vulcanologo, pittore, libero pensatore engagé. Del primo Carmen diverrà musa e modella, del secondo anche amante. Totale, torrenziale e, ovviamente, chiacchieratissima. Lei ha 28 anni, lui 47. Prestante, calvo, una barba tempestosa, sembra la controfigura di Paul Verlaine. Si fa chiamare Dottor Atl (‟Acqua” in nahuátl, l’originaria lingua precolombiana) e a sua volta ribattezza la ragazza Nahui Olín, che all’antica cosmologia azteca sta per ‟movimento rinnovatore dei cicli astrali”, ‟moto perpetuo”, ‟energia”.
Di energia, Nahui ribolle. Come l’epoca in cui si trova a vivere: il Messico in fiamme dei tumulti operai e contadini, delle rivoluzioni tradite di Zapata e Pancho Villa. A cui la pittura fa eco riscoprendo le tradizioni indigene e convertendole in modernista epica popolare. L’arte deve uscire da musei e atelier per colorare le strade di murales. D’autore. Anche Carmen/Nahui decide di sporcarsi le mani, si tuffa nella pittura, sfornando tele a sua immagine: naïf ma molto poco rassicuranti. Dipinge corpi saldati nell’amore. Si fa dipingere e fotografare. Nel ’23 conosce la donna che prima e più di lei diverrà icona di quel Messico vulcanico (malgrado fosse friulana): Tina Modotti. Quasi coetanea di Nahui era nata a Udine nel 1986 ne avrebbe oscurato fama e bellezza grazie alle famose foto nature scattate dal compagno Edward Weston. Ma la ragazza-smeraldo non lasciò indenne nemmeno lui. ‟Oggi ho realizzato i migliori ritratti da quando sono in Messico: il viso di Nahui Olín” annotava sul diario. Per poi aggiungere: ‟Bisognerebbe essere di pietra per non innamorarsi di lei”.
Fugacemente e non ricambiata, si innamorò di lei perfno Hollywood. Nel ’27 fu invitata negli Studios per interessamento di Rex Ingram, regista di divi come Rodolfo Valentino e Douglas Fairbanks e della Divina Greta Garbo.
La fecero posare nuda in atteggiamento osé e appena lei capì che al massimo l’avrebbero ingaggiata come comparsa esotica se ne torno indietro sbattendo la porta. Sull’esperienza californiana spese parole che non hanno bisogno di traduzione e, ancora adesso, suonano d’una certa attualità: ‟Hollywood es una mierda”. Con Tina Modotti la rivalità rimase latente mentre la pittrice Frida Kahlo considerava Nahui poco più di una sgualdrina, erotomane compulsiva.
Nemmeno Gerardo Murillo, il vulcanologo che pareva Verlaine, riusci a frenare le eruzioni. Alla fine degli anni Venti Carmen si imbarca in un nuovo amore, massimalista come suo solito. Con il capitano di lungo corso Eugenio Agacino viaggiano da Cuba a Manhattan all’Europa. Ma, come Meryl Streep nella Donna del tenente francese, la vedremo presto aggirarsi inconsolabile tra i moli di Veracruz in attesa di un marinaio fantasma. Perché? Ve lo dirà il libro. Vi racconterà anche come nella vita di Nahui Olín abbiano fatto capolino Federico García Lorca, Pablo Picasso o Benito Mussolini. O come la donna più bella di Città del Messico arrivò a profetizzare niente di meno che la bomba atomica.
Oggi la parola trasgressione è praticamente sinonimo del suo contrario, di neoconformismo dopato, piercingato e discotecaro, concedetevi una sana regressione in quel Messico dove ancora si andava al massimo.
Nahui di Pino Cacucci
Nel 1961 il poeta Homero Aridijs incontra per strada una povera disgraziata che vende per due lire vecchie cartoline, vecchie immagini di sé giovane, nuda, bellissima. I suoi occhi verde smeraldo brillano ancora e il poeta la riconosce: è Carmen Mondragon, in arte Nahui Olín, la più bella donna di …