Fabrizio Tonello: Apocalittico nazionalismo

05 Luglio 2002
Sono incostituzionali le parole «under God» nel giuramento degli americani? Gli Usa sono un paese teocratico, convinto di essere investito dalla missione di redimere il mondo. Tanto più dopo l'11 settembre.

La permanenza di una convinzione religiosa che informa di sé l'intera società e domina la politica è un dato che non ha riscontri in paesi diversi dagli Stati Uniti e dall'Iran post-1979. La religiosità americana viene attivamente promossa dallo stato, assai più di quanto non faccia l'Italia con il cattolicesimo, come ha mostrato la reazione dei politici alla sentenza di un Corte d'appello federale di San Francisco che giudicava incostituzionali le parole «under God» nel testo del giuramento di fedeltà che ogni mattina viene recitato nelle scuole. Il Senato, abbandonando ogni altra discussione per votare 99-0 che sì, gli Stati Uniti sono davvero un paese in diretto rapporto con l'onnipotente, ha portato alla luce non solo il clima di sciovinismo post-11 settembre ma anche una tendenza profonda della cultura politica americana. Sul piano formale, le parole «under God» nel Pledge of Allegiance e il motto sulle banconote «In God We Trust» furono aggiunti negli anni `50 dall'amministrazione Eisenhower e da un congresso dominato dai repubblicani. L'obiettivo, assolutamente strumentale, era far risaltare l'ateismo dell'Unione Sovietica e arruolare il dio cristiano a sostegno dell'Occidente. Poiché negli anni Sessanta, invece, la Corte suprema iniziò a fare sul serio nel vietare il sostegno pubblico ad una religione, almeno quei due simboli più smaccati avrebbero dovuto essere rimossi, il che invece non è mai avvenuto. Il pretesto usato dalla Corte fu quello che il riferimento non era ad uno specifico dio cristiano e quindi tutti i credenti in una qualche Essere Supremo potevano riconoscersi. La sentenza del giudice Goodwin, sospesa in attesa di appello dal collegio del Ninth Circuit a ranghi completi, è una semplice presa d'atto che questa ipocrisia non è più sostenibile.
Sul piano sostanziale, gli Stati uniti sono un paese teocratico il cui assetto politico è strettamente legato a credenze religiose, sia pure tolleranti. Tutto inizia con l'idea che gli Usa hanno di se stessi, in particolare con la convinzione di essere una «nazione redentrice», un concetto analizzato da Ernest Lee Tuveson nel suo libro del 1968 Redeemer Nation. Tuveson riassumeva in questo modo il Dna politico americano: «Razza predestinata, Nazione predestinata; destino millennaristico per il genere umano; guerra continua tra il Bene (progresso) e il Male (reazione) nella quale gli Stati uniti giocano un ruolo di primo piano come redentore del mondo... Questa idea... è stata in parte presente fin dalla fondazione della repubblica; ed è presente ancora oggi».

Un popolo superiore
Il paradigma della «nazione redentrice» richiede che le istituzioni politiche americane siano perfette, che il sistema economico sia assai superiore a ogni altro, e che il resto del mondo sia costretto a seguire lo stesso cammino perché ciò fa parte del piano per realizzare il regno di Cristo sulla terra. Tuveson chiamò questa ideologia «liberalismo apocalittico», poiché le istituzioni liberali erano considerate essenziali per l'inizio del periodo di 1.000 anni prima del secondo avvento.
La fonte di questa fede nel Millennio è una lettura del libro dell'Apocalisse opposta a quella della tradizione agostiniana. Nella lettura dei protestanti ai tempi di Increase Mather e Jonathan Edwards, «Questa è la volontà di Cristo riguardante questi ultimi giorni: fondare il suo Regno sulla Terra apertamente e pubblicamente», cioè in un paese determinato. Ancora più esplicito Herman Melville: «Noi americani siamo un popolo speciale, un popolo eletto, l'Israele della nostra epoca, noi rechiamo l'arca delle libertà del mondo [...] Dio ha predestinato, e l'umanità attende, grandi cose dalla nostra razza; e grandi cose noi sentiamo nella nostra anima».
Da John Adams a Woodrow Wilson, da Abraham Lincoln a George Bush jr., non troviamo un presidente degli Usa «laico», ovvero un politico che respinga l'idea di una Redenzione del mondo da ottenere tramite l'espansione all'estero delle istituzioni americane. A livello personale questi leader potevano forse essere indifferenti nei confronti della religione, ma non mancarono e non mancano mai di incorporare il linguaggio religioso nei loro discorsi politici. Woodrow Wilson non esitò ad affermare: «L'America ha avuto l'infinito privilegio di realizzare il suo destino e di salvare il mondo». Franklin Roosevelt: «I nostri nemici sono guidati da un cinismo brutale, da un empio disprezzo per il genere umano. Noi siamo mossi dalla fede che risale, attraverso le epoche, fino al primo libro della Genesi: "Dio ha creato l'uomo a sua immagine"».
Osservazioni sul carattere religioso della cultura politica americana sono state fatte fin dai tempi di Tocqueville e riprese da sociologi contemporanei come Seymour Lipset o Robert Bellah. Nel 1837 Francis Grund, un diplomatico austriaco, osservava: «E' alla religione che (gli americani) ricorrono ogni volta desiderano imprimere nel sentimento popolare tutto ciò che riguarda la loro patria, ed è la religione che li assiste in ogni impresa nazionale. Gli americani venerano la religione come fattore di libertà civile e politica ed hanno trasferito su di essa gran parte del sentimento di amore che essi nutrono per la loro patria».

Le «perfette» istituzioni americane
La rivista Harper's potrebbe benissimo ristampare oggi un suo articolo del 1858, in cui si proclamava: «La Costituzione americana ha un significato morale, una sacralità, che vanno ben oltre ciò che la scienza politica e il patto sociale possono dare alla legge fondamentale di una repubblica».
Anche prima dell'11 settembre, non si sarebbe trovato un singolo senatore o deputato, un solo amministratore delegato di una multinazionale, un direttore di un quotidiano importante disposto a dire che le istituzioni americane non sono perfette. Al contrario, queste persone ostentano una fede incrollabile che filtra e coinvolge tutti gli strati sociali, anche quelli ai quali la maggior parte dei benefici sono negati.

Dopo l'11 settembre
Il processo di socializzazione politico-religiosa dei cittadini americani è estremamente efficiente e la pressione in senso religioso della cultura politica determina anche un rafforzamento della fede, com'è ovvio in un paese dove l'ostentazione da parte dei politici delle loro convinzioni cristiane o ebraiche è quotidiana. Dopo l'11 settembre, nazionalismo e cristianesimo militante si sono uniti ancora più strettamente a causa del carattere «islamico» della minaccia contro gli Stati uniti.
La sentenza di San Francisco, per una serie di coincidenze legali, arriva quindi nel momento peggiore: quello in cui scandali finanziari e attacchi terroristici hanno reso più che mai indispensabile agitare la Croce e la Spada. Perché discutere di Enron, di WorldCom o dell'inettitudine dell'amministrazione Bush quando si può fare un bel dibattito sull'americanità di Dio onnipotente?
Ormai abituati al linguaggio di Berlusconi nei confronti dei giudici, i quotidiani italiani non hanno notato che le espressioni sprezzanti usate da Bush junior e dal leader del Senato Tom Daschle nei confronti della Corte d'appello sono piuttosto rare nel dibattito politico americano. Un segno di quanto l'11 settembre abbia radicalizzato lo sciovinismo nazional-religioso della destra americana, a cui si sono immediatamente accodati i democratici.

Fabrizio Tonello

Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …