Erri De Luca: Quel nome corre come una profezia

20 Agosto 2002
Adam nel giardino dell’Eden dava i nomi alle creature che vedeva intorno a sé. Li leggeva sulla loro superficie, la natura era scritta. Fuori di quel giardino la specie umana non sa più leggere i caratteri di scrittura del creato. L’estate anarchica del 2002, polare e tropicale tutt’insieme, sarà ricordata come quella dell’avviso. Le forze di natura scrollano il pianeta infebbrato da noi. I cieli diventano cataratte, le nuvole precipitano al suolo a ondate, non i marinai ma i contadini muoiono affogati dalle acque in tempesta, non gli alberi ma gli uomini restano trafitti da un diluvio di fulmini.
Non servono zingare né modelli matematici per leggere sul palmo della terra l’insofferenza del pianeta verso i suoi inquilini più ingombranti. Praga, mentre scrivo, sta per essere chiusa dalla piena del suo fiume. La Praga delle birrerie svuota già con i boccali l’acqua dalle sue strade. La sua sonante Moldava musicata da Smetana non si fa più suonare, ora dirige e esegue con i suoi affluenti la musica dell’invasione di acque. Non c’è scudo stellare che protegga dall’incursione aerea delle nuvole.
La natura talebana rivendica tutto, dall’incendio di un mese nei boschi dell’Oregon all’arrembaggio dei fiumi contro le città d’Europa. Chi ricorderà ancora la Moldava accarezzata a colpi di pagaia dal magrissimo ebreo Franz Anshel Kafka su un sandolino? Fu spettacolo così serio e buffo da far dire a un passante che gli serbrava di vedere un morto remare nella sua bara contro la corrente. Poi Praga è stata la tenerezza politica del mondo. La sua primavera del ’68 arrotata dai corazzati russi mortificò i praghesi e il comunismo e avvelenò per sempre gli invasori. Da allora in poi per le armi russe la ruggine fu questione di tempo di una generazione. Oggi Praga fa correre di nuovo il suo nome come una profezia: l’Europa è una palude.
Nell’estate del ’99 la piena del Danubio ebbe la forza di trascinare via i veleni della città di Pancevo centro industriale e chimico presso Belgrado, distrutto per settimane consecutive dai bombardieri della Nato. Allora la piena del più grande fiume d’Europa aveva forza di cancellatura dello scempio. Trascinava nel Mar Nero il pus di un’infezione volontaria. La furia estremista dell’estate 2002 non corregge il passato, ma avvisa del futuro. Ribadisce il primato delle forze di natura sul nostro diritto di residenza. Invita a retrocedere per evitare di essere disfatti. Alla truppa dell’umanità occorre in fretta un piano di ritirata.

Erri De Luca

Erri De Luca è nato a Napoli nel 1950. Ha pubblicato con Feltrinelli: Non ora, non qui (1989), Una nuvola come tappeto (1991), Aceto, arcobaleno (1992), In alto a sinistra (1994), Alzaia (1997, …