Francesco Erbani: A colloquio con Gianfranco Bettin

09 Dicembre 2002
Gianfranco Bettin prese confidenza con Marghera e con il Petrolchimico quando era ancora bambino. E la sua memoria mescola continuamente il sorriso infantile con l´immagine cupa dei fumi velenosi. Ha appena pubblicato un libro insieme a Maurizio Dianese che si intitola Petrolkiller: si racconta, riproducendo documenti riservati, di come le principali industrie chimiche americane ed europee si accordarono, nei primi anni Settanta, per tenere nascosti gli effetti cancerogeni di una sostanza che veniva manipolata da migliaia di operai in tutto il mondo, il cloruro di vinile monomero.
Il Cvm, questa la sigla del composto, era lavorato anche al Petrolchimico, prima Montedison poi Enichem. Un anno fa il Tribunale di Venezia ha giudicato i vertici di quelle aziende accusati della morte per cancro di 157 operai, oltre che dell´inquinamento in laguna. Come sia andata è noto: tutti assolti. Ma ora le carte scovate da Bettin e Dianese sono uno dei punti di forza del ricorso in Appello. Se ne riparlerà, sembra, a fine primavera.
Quand´era bambino Bettin giocava con i suoi amici maneggiando gli scarti delle produzioni, senza sapere che quei sassi grigi o di altri ridenti colori erano cianuro, piombo e mercurio. D´estate faceva il bagno in un acquedotto che attraversava l´area industriale e non capiva perché a fine stagione tutti avessero i capelli biondi. "Le pozze d´acqua riflettevano i colori dell´arcobaleno anche se il cielo era nuvoloso e quando buttavamo un sasso venivano su bollicine come se fosse una patata che friggeva nell´olio bollente", racconta. "A Mestre molti ragazzi frequentavano l´istituto tecnico Pacinotti. Invece del campanello, quando finivano le lezioni, suonava la sirena". Poi, alcuni anni dopo, da una porta socchiusa, Bettin vide suo zio, un quarantenne robusto e fino ad allora pieno di salute, che si spegneva ucciso dalla silicosi e ancora ricorda il fragore di quel respiro che gli strozzava la gola.
Anche suo padre lavorava al Petrolchimico e come lui tanti suoi parenti e amici. Ora che è diventato sociologo, scrittore, che ha varcato, come parlamentare verde, il portone di Montecitorio, e che siede sulla poltrona di prosindaco nel municipio di Mestre, comune di Venezia, Bettin il Petrolchimico non se l´è scrollato di dosso. Una settimana fa stava andando a Vicenza insieme a Maurizio Dianese per presentare il libro, quando è squillato il cellulare. Un incendio stava distruggendo un deposito di peci clorurate della Dow Chemical, liberando nell´aria diossina e altre sostanze tossiche. A pochi metri c´era un deposito di fosgene: se fosse esploso, Marghera sarebbe diventata Bhopal.
Bettin e Dianese hanno iniziato a scrivere Petrolkiller il giorno dopo la sentenza di assoluzione. Avevano solo una piccola traccia seminata nelle centinaia di pagine della requisitoria del pubblico ministero Felice Casson. Negli Stati Uniti un avvocato stava indagando su un patto segreto fra industrie chimiche per occultare i sospetti e i primi accertamenti scientifici sul Cvm: la sostanza provocava l´angiosarcoma, un tumore che distrugge il fegato dilatandone i vasi sanguigni. Lo stesso male che aveva ucciso una quindicina di operai del Petrolchimico. Casson chiese in fretta una rogatoria, mentre il processo stava già chiudendosi, ma dagli Usa arrivarono pochi documenti. Non sufficienti, secondo la corte, a dimostrare che la direzione del Petrolchimico sapesse a quali danni andavano incontro gli operai e, non prendendo provvedimenti, fosse responsabile di quelle morti.
Dianese, inviato del Gazzettino, ha preso a consumare Internet "come un tempo i cronisti consumavano i marciapiedi". E ha scoperto due cose. In America sono decine i processi per morte da Cvm e gli avvocati depositano in rete ogni ben di dio: lettere e verbali di riunione, soprattutto. Il punto di partenza dell´immensa matassa è una riunione che si tiene l´11 luglio del 1973 a Washington, presso la Manufacturing Chemists Associations, l´organismo di categoria dei colossi chimici. Dall´Europa, meglio, dall´Italia giungono notizie che allarmano quei manager. Pier Luigi Viola, un medico della Solvay di Rosignano, in Toscana, fin dal 1969 - attenzione alle date - conduce studi sulla cancerogenicità del Cvm. Analoghe indagini, più mirate, compie un celebre oncologo bolognese, Cesare Maltoni, incaricato proprio dalla Montedison. Maltoni inizia a lavorare nell´estate del 1971 e un anno dopo avverte l´azienda di essere approdato a prime conclusioni: i topi di laboratorio si ammalano di cancro al fegato.
Cosa dobbiamo fare? si domandano i top manager americani (il resoconto della riunione è riprodotto in appendice al libro e, per comodità del lettore, anche sceneggiato). Fin dal 1972 gli europei ci hanno chiesto di firmare un patto di segretezza. Ma qui non si scherza. Le autorità sanitarie ci stanno addosso. Se finissimo in giudizio le associazioni dei consumatori e leader come Ralph Nader ci toglierebbero la pelle. Il segreto non può essere più a lungo custodito: conviene anticipare tutti annunciando noi che qualche dubbio lo nutriamo e anzi potremmo cominciare ritirando dal commercio alcuni prodotti fatti con il Cvm, le lacche e le vernici spray, per esempio. Diremo che non sono più remunerativi.
Nel frattempo il cloruro di vinile monomero continua ad essere manipolato a Marghera e in tutto il mondo. Racconta Bettin: "Il Cvm affluiva in forma liquida in una decina di autoclavi per essere trasformato in Pvc. Mentre ancora il miscelatore dell´autoclave girava, gli operai aprivano il boccaporto e controllavano che l´impasto fosse al punto giusto. Dal boccaporto uscivano nuvole di Cvm. Dopo che l´autoclave era stata scaricata, l´interno doveva essere pulito da un operaio che si calava con una scala e spaccava i grumi rimasti attaccati al miscelatore e alle pareti con un martello e uno scalpello. L´operazione durava di solito due o tre ore. Ma se le incrostazioni erano resistenti nell´autoclave ci si stava anche sei o sette ore".
La storia di Marghera è ricca di queste quotidiane e titaniche sfide con la morte. "Qui tutti erano convinti che in quell´azienda si fabbricasse la modernità", spiega Bettin. "A quei tempi, nei primi anni Settanta, la chimica e la plastica erano una visione del mondo. Quei prodotti colorati, ben disegnati, indistruttibili rappresentavano il matrimonio perfetto fra la ricerca scientifica e l´industria. La Montedison aveva il volto di Eugenio Cefis e delle sue avventure politiche e finanziarie, ma anche di Giulio Natta, e del suo premio Nobel. Gli operai erano per la grande maggioranza orgogliosi, la chimica li proiettava in un orizzonte politico e culturale, generava un´idea di sé nel mondo: conflittuale, antagonista, ma centrale".
Il gioco bizzarro della storia fa coincidere il patto segreto fra le industrie con l´affermarsi, ancora in ristretti ambienti, delle conoscenze sui rischi del lavoro in fabbrica. Da una parte la scienza che piega i suoi statuti ai voleri dell´industria e inquina la sua neutralità. Dall´altra la scienza di Giulio Maccacaro, che nel 1974 assume la direzione di Sapere, fonda "Medicina democratica" e in altri stabilimenti Montedison, quelli di Castellanza, affina le indagini sulla nocività degli scarichi e sui rischi corsi dagli operai.
A "Medicina democratica" è iscritto un singolare personaggio che lavora al Petrolchimico. Si chiama Guido Bortolozzo. Era socialista, ma poi inizia a simpatizzare per l´estrema sinistra. E´ convinto che tante malattie di suoi compagni sono causate dalle sostanze che si maneggiano o si inalano. Ma resta isolato, gravato dal sospetto che voglia far smantellare il Petrolchimico. Passano gli anni e anche lui si ammala. Ha le mani fredde, esangui, ha perso la sensibilità. Conduce una sua indagine e scopre che più di quattrocento operai sono morti di cancro su millesettecento che lavoravano il Cvm.
Bortolozzo mette in fila i loro nomi, va in Procura della Repubblica e deposita un esposto dal quale, nel 1994, nasce l´inchiesta di Casson. Ma Bortolozzo non fa in tempo a vederne l´esito: nel settembre del 1995 un camion lo uccide mentre corre in bicicletta sul Terraglio, la strada che da Mestre va a Treviso.
Il processo è un campionato di oratoria. Periti che battagliano contro periti. Gli avvocati della Montedison e dell´Enichem che dispongono di mezzi mai visti durante un dibattimento. Alla fine la corte, presieduta da Ivano Nelson Salvarani, colloca nel 1974 la data in cui si raggiunge la certezza che il Cvm è cancerogeno e assolve gli imputati perché, sostiene, prima di quella data non potevano sapere. E dopo quella data avrebbero agito tempestivamente per limitare i danni.
Alla lettura della sentenza Bettin esplose in un pianto, ma Petrolkiller non è un libro sul processo, perché la storia di Marghera e del Petrolchimico non è contenibile in un processo (anche se i materiali che Petrolkiller riproduce vi confluiranno per attestare quando matura la consapevolezza dei danni che il Cvm provocava). E´ un libro sull´industria e sulla scienza, e su cosa accade agli uomini in carne e ossa quando fra le due si stringono patti segreti.

Petrolkiller di Gianfranco Bettin, Maurizio Dianese

Il 2 novembre 2001 il Tribunale di Venezia ha pronunciato una sentenza di assoluzione per i ventotto imputati del processo sul Petrolchimico di Porto Marghera. L'indagine del pm Felice Casson era iniziata nel 1994, sulla base delle denunce dell'operaio Gabriele Bortolozzo. Sul banco degli imputati …