Il 2 novembre 2001 il Tribunale di Venezia ha pronunciato una sentenza di assoluzione per i ventotto imputati del processo sul Petrolchimico di Porto Marghera. L'indagine del pm Felice Casson era iniziata nel 1994, sulla base delle denunce dell'operaio Gabriele Bortolozzo. Sul banco degli imputati c'erano i grandi gruppi della chimica italiana (Montedison, Enichem) accusati della morte per tumore di 157 operai e di altri 103 casi di malati, che erano addetti alla lavorazione del cloruro di vinile monomero (CVM) e del polivinile di cloruro (PVC) per la produzione di plastiche. I capi d'accusa erano di strage, omicidio, lesioni colpose plurime, e disastro ambientale colposo, per aver inquinato con gli scarichi aria, suolo, sottosuolo e acque lagunari, avvelenando anche pesci e molluschi. L'argomentazione della Corte si fonda su due assunti: che fino al 1973 non era noto il grado di pericolosità del CVM (cosa smentita dalle prove presentate da Casson e ancor più dalla ricostruzione fatta dagli autori in questo libro) e che non vi erano allora leggi adeguate a tutela di ambiente e salute. Escono così indenni, assieme agli altri, Eugenio Cefis, Alberto Grandi, Lorenzo Necci. Escono sconfitti gli operai e i cittadini che attendevano un verdetto che condannasse la volontaria utilizzazione da parte delle classi dirigenti di sostanze che si sapevano pericolose e inquinanti, senza misure di tutela per salute e ambiente. Ma i ricorsi in appello non si faranno attendere, perché non si dimentichi un giudizio vergognoso e non passi sotto silenzio uno degli episodi più gravi e dolorosi dell'industria nazionale.