Enrico Franceschini: Israele, il trionfo di Sharon

30 Gennaio 2003
Ariel Sharon ha fatto il bis. Come prevedevano i sondaggi, il primo ministro vince nettamente le elezioni israeliane, ripetendo il successo alle urne di due anni fa. Gli exit-poll annunciati alle dieci di sera dal primo canale della televisione assegnano 36 seggi al Likud, che diventa così il partito di maggioranza relativa: una crescita prodigiosa rispetto ai 19 seggi della precedente legislatura. Se confermata dalle cifre ufficiali, il Likud avrà il doppio dei seggi del partito laburista guidato dall´ex-generale pacifista Amram Mitzna, che crolla da 25 a 18, il suo minimo storico. Il Labour rimane a stento il secondo partito, tallonato dai secolaristi di Shinui, un movimento laico di centro che fa della lotta ai privilegi dei religiosi la sua bandiera e che ottiene una clamorosa affermazione salendo da 6 a 14 seggi. I guai per il capo del Likud però cominciano adesso: Sharon punta a formare un governo di unità nazionale simile a quello da lui diretto nel suo primo mandato, ma per ora il Labour rifiuta di farne parte e Shinui accetterebbe solo se resteranno fuori dalla coalizione i partiti religiosi. Un puzzle apparentemente irrisolvibile, che potrebbe obbligare il premier a creare, almeno per un po´, un governo di estrema destra, per il quale avrebbe un´ampia maggioranza.
Il dato più scioccante è che soltanto il 68,5 per cento degli elettori si è recato alle urne, 4 per cento meno che nel '99. L´affluenza più bassa dalla fondazione di Israele: un motivo può essere che l´esito della contesa appariva scontato, ma sembra pure un segnale di scarso entusiasmo, di diffusa sfiducia nei leader, nei partiti e nelle loro ricette per uscire dalla crisi che attanaglia il paese.
L´esercito aveva ermeticamente chiuso i Territori Occupati e imposto il coprifuoco nelle città dell´autonomia, per scongiurare il rischio di attentati. Non solo dunque i palestinesi non potevano entrare in Israele: non potevano nemmeno circolare all´interno delle proprie zone. Trentamila militari e poliziotti hanno pattugliato ogni angolo del paese, e non si sono verificati incidenti durante le operazioni di voto. In compenso, nei Territori la violenza c´è stata lo stesso, facendo sette morti e decine di feriti, tutti palestinesi. Quattro hanno perso la vita a Jenin, durante scontri scoppiati dopo un´incursione dell´esercito; tre sono rimasti uccisi da una misteriosa esplosione che ha sbriciolato un edificio di Gaza, dove viveva un capo di Hamas. Per gli integralisti islamici è stato un missile lanciato da un elicottero israeliano; secondo le forze armate è stato l´attivista di Hamas a provocare involontariamente la deflagrazione, preparando un ordigno.
Quello di ieri era il terzo ricorso alle urne in meno di quattro anni: Sharon si è augurato che la sua vittoria produca "stabilità" e rafforzi "la democrazia israeliana in un momento di grande pericolo". Il laburista Mitzna ha ammesso la sconfitta alle dieci e mezza di sera, congratulandosi al telefono con il premier: i due si incontreranno presto. "Se non abbiamo vinto stamane, vinceremo la prossima volta, entro un anno ci saranno nuove elezioni", cerca di consolare i suoi Mitzna, esortando il partito a restare all´opposizione. Ma non è detto che per lui ci sarà una prossima volta. Eletto a capo del Labour appena tre mesi fa, potrebbe non conservare la leadership dopo un risultato così disastroso.
Perde di brutto anche Meretz, il partito radical-pacifista (lo votano, tra gli altri, gli scrittori David Grossman e Amos Oz), passando da 10 a 5 seggi, e il suo leader, Yossi Sarid, annuncia già le dimissioni: è una disfatta per tutta la sinistra. A destra, diminuisce il peso del maggior partito religioso, Shas, che scende da 17 a 13 seggi. Ciononostante, il blocco conservatore (o di estrema destra) comprendente il Likud, tre partiti religiosi, il movimento degli ebrei russi dell´ex-dissidente sovietico Natan Sharansky e gli ultranazionalisti, avrebbe comunque una larga maggioranza parlamentare di 70 seggi sui 120 della Knesset. Non è la coalizione che preferirebbe Sharon, né quella che piacerebbe a Bush. Ma potrebbe essere l´unico governo possibile.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …