Erri De Luca: Il mito logorato della velocità

17 Settembre 2003
Una canzone, l’ultima, di Luigi Tenco portava la frase: «Saltare cent’anni in un giorno solo/ dai carri nei campi agli aerei nel cielo». Ci è capitato questo, abbiamo fatto parte di un secolo affamato di velocità. Il progresso meccanico ha spremuto questa virtù da ogni sua invenzione. Nati in epoca accelerata abbiamo imparato a pretenderla. I tachimetri delle automobili segnano numeri di velocità proibite. La mia riporta in fondo al giro la cifra immaginaria di duecento. Ma l’impressione di corsa, di moto costante e progressivo corrisponde sempre meno all’evidenza dei fatti.
Non siamo ancora fermi, ma stiamo decelerando. Le ultime finali di velocità pura in atletica hanno registrato tempi più lenti. L’aggiornamento dei controlli antidoping ha messo in chiaro che i primati precedenti erano imbottiti di slealtà verso gli avversari e di nocività verso se stessi.
Gli aerei non vanno più svelti di prima, anzi il più rapido, il Concorde, non vola più.
Le guerre a grande velocità, le conquiste sprint s’imbattono in impreviste inerzie, in difficoltà di trionfo. Così le guerre vengono audacemente chiamate dopoguerra, anche se il prefisso «dopo» è un’opinione.
L’economia marcia a battiti lenti quanto quelli di un orso in letargo. L’informatica è più utile a risparmiare spazio che tempo, più archivio che fulmine.
La formula di un progresso fondato sull’acceleratore si è inceppata. Siamo entrati nella casella dell’elefante maschio, lento e irritabile. La velocità resta un valore occidentale, che ha dato buoni risultati, ma si è logorata. Al suo posto, in economia, nello sport, in politica, è subentrato un suo surrogato tossico, la scorciatoia. Fare soldi in fretta, come raggiungere alla svelta il formato richiesto di bellezza: dilaga l’espediente, il trucco, la manomissione. È passata una licenza di scorciatoia, contraffazione di velocità.
Non mi passa per la testa di predicare la lentezza. Non è materia nostra, bisogna essere nati in una civiltà che va a piedi, si regola sui quarti della luna e considera il tempo un dono, anziché una variabile del costo del lavoro. Non siamo adatti alla lentezza e anche la religione non addestra: l’avvento del suo Messìa è un acceleratore termonucleare, l’apocalissi è culmine d’impazienza del divino.
Mentre il magnifico discorso sulla beatitudine degli ultimi è una dimostrazione di affetto, ma in nessun caso un invito a mantenere la posizione in graduatoria. È auspicabile muovere la classifica.
Senza poter ricorrere nemmeno alla disciplina orientale del tempo, resta a portata di mano occidentale, e meridionale, l’invito a disertare le scorciatoie, a mettere in ridicolo, e non alla gogna, i forsennati dell’arrivismo e dell’accaparramento. Non esiste contrasto più efficace e urticante di una risata pubblica. Ma è difficile ridere dei primi.

Erri De Luca

Erri De Luca è nato a Napoli nel 1950. Ha pubblicato con Feltrinelli: Non ora, non qui (1989), Una nuvola come tappeto (1991), Aceto, arcobaleno (1992), In alto a sinistra (1994), Alzaia (1997, …