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Bravo, bravissimo, Gianfranco Fini. Leggete qui:"Se si vuole
sconfiggere alla radice quell'infezione che è la xenofobia, tutto si può fare
tranne che tenere gli occhi chiusi di fronte alla realtà. Il nostro popolo per
tradizione culturale non conosce la xenofobia". "Integrazione vuol
dire rendere possibile, con la presenza di immigrati, come è accaduto in Canada
e Usa, una società profondamente diversa. La sfida è che tra 30 anni in Italia
anche gli immigrati siano al vertice della società italiana". Non
avevo trovato, ieri, questi concetti espressi dal leader di Alleanza Nazionale
nel suo discorso al Cnel il 7 ottobre 2003, ma li ho trovati debitamente
riportati dal quotidiano di partito Il Secolo d'Italia. Dunque, il
"diritto di voto" agli immigrati non è solo una mossa tattica,da cui
si può recedere.Fini ha usato toni alti,ha indicato una "visione"di
società:si augura un ’Italia in cui,quando lui sarà un anziano signore,non
un consigliere comunale,ma il presidente della Repubblica o del Consiglio,o il
presidente della Rai, si possa chiamare tranquillamente Mohammed,Ibrahim o Chang.
Il discorso è, a dir poco, clamoroso. L'avrebbe potuto pronunciare uguale un
vecchio leader della sinistra libertaria che detta il suo testamento politico,
ma non l'ha mai pronunciato in questi termini un leader dell'attuale
schieramento di centro sinistra, per timore di essere considerato lassista,
buonista, "antiitaliano". Una settimana fa Il Secolo XIX mi
chiese un commento ad un annunciato disegno di legge dello stesso Fini teso a
colpire il "fumatore di spinelli" (una categoria che annovera alcuni
milioni di italiani) e scrissi che mi sembrava fosco e grottesco. Oggi leggo
queste parole pronunciate dalla stessa persona e mi interrogo sulla complessità
della natura umana, e in particolare sulle fantastiche capacità di ...
cambiamento che la vita offre a tutti,anche a chi,come i leader politici,ende ad
essere,più di altri,incatenato da formule,passati,pregiudizi e convenienze. Non
credo,per le mie personali catene,che potrò mai votare l ’onorevole Fini,ma
gli faccio (per il niente che valgono)i miei complimenti.Mi sembra di capire che
l ’uomo sia in mezzo ad un percorso esistenziale di ottimo profilo.
Venendo alle quotidianietà politiche,si capisce che Fini ha trovato un nobile
motivo di rottura con la Lega xenofoba,che ha insofferenza per il suo partito (a
mezzadria ra i berluscones e le camicie nere),che ha già messo in conto la
prossima sconfitta di Berlusconi,e che pensa di poter diventare un leader serio,
moderno e moderato di una destra europea.Non per il 2006. Più probabilmente per
il 2011. Per ora ha operato uno "spariglio".Le prossime settimane
saranno per lui le più difficili.Poi decideranno l ’abilità,il denaro a
disposizione,la costanza,le alleanze.Siamo al calcio d ’inizio di una partita
lunga.
Enrico Deaglio
Enrico Deaglio è nato a Torino nel 1947. Dal 2012 risiede a San Francisco. Ha lavorato nella carta stampata e in televisione. Si occupa di mafia da quarant’anni; nel 2021 è stato consulente della Commissione Antimafia della Regione Sicilia sul depistaggio del delitto Borsellino, diretta da Claudio Fava. Tra i suoi libri d’inchiesta sulla nostra storia recente, il più longevo è La banalità del bene – Storia di Giorgio Perlasca (Feltrinelli, 1991). Ha raccontato storie di mafia con Il figlio della professoressa Colomba (Sellerio, 1992), Raccolto rosso (Feltrinelli, 1993), Il vile agguato (Feltrinelli, 2012), Indagine sul Ventennio (Feltrinelli, 2014) e la trilogia di Patria. La bomba. Cinquant’anni di Piazza Fontana (Feltrinelli) nel 2020 ha vinto il premio Bagutta.