Fabrizio Tonello: Presidenziali Usa. La seconda guerra civile
26 Ottobre 2004
Tre dibattiti fra i candidati alla presidenza e un largo consenso sul fatto che Kerry è apparso più informato, più convincente, più "presidenziale". Questo ha cambiato qualcosa nella campagna elettorale? La risposta è no. Malgrado il chiacchericcio dei media su chi ha "vinto" e chi ha "perso" nei dibattiti fra Bush e Kerry, oltre che fra Cheney e Edwards, gli istituti di sondaggio registrano in questi giorni un ritorno alle posizioni di partenza. Per Gallup, Bush è in vantaggio con il 52% delle intenzioni di voto, contro il 44% a Kerry, per il ‟New York Times” le percentuali sarebbero più vicine: 47% a 46% e, infine, il Pew Center registra uno scarto 49% a 44%, sempre a favore di Bush. I cittadini presi in considerazione sono quelli che affermano che, quasi certamente, voteranno in novembre. Questi sondaggi sottostimano molto la forza di Kerry, alcuni perché sono "rettificati" sulla base di una sovrastima del numero di elettori che si identificano come repubblicani (Gallup), altri perché non prendono in considerazione lo sforzo massiccio dei democratici per portare a votare milioni di nuovi elettori. Questo sforzo, in particolare tra i giovani e gli afroamericani sta avendo eccellenti risultati e si tratta di due gruppi che votano in maggioranza per i candidati democratici.
La realtà è che Kerry ha raddrizzato le sorti della sua campagna elettorale con i dibattiti, ma che questo successo ha inciso soltanto sui suoi potenziali elettori: le due Americhe che si scontrano nelle urne sono più che mai non comunicanti e ostili fra loro. I dibattiti parlano soltanto ai convertiti: secondo Pew, ben il 28% di chi ha già deciso che certamente voterà per Bush riconosce volentieri che Kerry ha prevalso nella discussione. Il risultato elettorale non sarà deciso dalla conquista degli elettori incerti fra i due candidati, bensì dalla capacità di repubblicani e democratici di fare il pieno dei propri sostenitori potenziali.
In queste elezioni si confrontano ben più di due candidati: è uno scontro di civiltà tra un'America laica, conscia dei limiti della propria potenza, favorevole al mercato ma preoccupata della sorte dei più deboli e un'America religiosa, in preda alla vertigine imperiale, ossessionata dal culto di Wall Street e delle armi da fuoco. Esistono due Americhe, frutto di una combinazione di fattori disparati ma che si sono "solidificate" in blocchi contrapposti.
La divisione è ben descritta nel libro di Stanley Greenberg, il sondaggista di Clinton, The Two Americas: i repubblicani non hanno chances di vittoria sulla costa del Pacifico, né su quella atlantica fino al Maryland, i democratici potrebbero risparmiare soldi e fatica ignorando le elezioni in tutto il Sud e l'Ovest (con l'eccezione della Florida). Nelle grandi praterie dal confine col Canada al Texas, Bush prenderà circa il 60% dei voti, la stessa percentuale che toccherà a Kerry in Massachusetts, New York, Connecticut, mentre a Chicago, Seattle e Los Angeles dovrà "accontentarsi" di un confortevole 52-54%. Ma per quale motivo le mappe del voto hanno assunto un carattere stabile?
La risposta è che si intrecciano scelte di valori con questioni economiche. I repubblicani hanno lanciato, dal `68 in poi una strategia basata sulla "ricristianizzazione" dell'America, strategia che ha avuto il suo fulcro nel Sud. È stata una operazione politica di successo, ma che andava in senso contrario a potenti correnti demografiche: oggi ci sono più donne istruite, più ispanici e più professionisti che votano. Tutte queste categorie detestano l'intolleranza, il culto delle armi da fuoco, il bigottismo, l'indifferenza al welfare dei repubblicani. Si tratta di milioni di elettori spinti nel campo democratico proprio dalla crociata dei neoconservatori, che faceva breccia nei ceti a basso reddito sbandierando i "valori tradizionali" della famiglia. Di qui il paradosso per cui le soccer moms, le madri laureate di reddito medio-alto che possono permettersi di far provare ai figli l'esperienza del calcio di tipo europeo votano per Kerry, mentre gli operai edili (non tutti, per fortuna), convinti dalla retorica macho di Bush votano repubblicano. L'intreccio di simboli, status sociale, collocazione geografica ha cristallizzato due Americhe che non sopportano la vittoria dell'altro campo. Se quest'anno, di nuovo, le contestazioni sul voto affideranno il risultato alla Corte Suprema, gli Stati Uniti sono pronti per una nuova guerra civile.
La realtà è che Kerry ha raddrizzato le sorti della sua campagna elettorale con i dibattiti, ma che questo successo ha inciso soltanto sui suoi potenziali elettori: le due Americhe che si scontrano nelle urne sono più che mai non comunicanti e ostili fra loro. I dibattiti parlano soltanto ai convertiti: secondo Pew, ben il 28% di chi ha già deciso che certamente voterà per Bush riconosce volentieri che Kerry ha prevalso nella discussione. Il risultato elettorale non sarà deciso dalla conquista degli elettori incerti fra i due candidati, bensì dalla capacità di repubblicani e democratici di fare il pieno dei propri sostenitori potenziali.
In queste elezioni si confrontano ben più di due candidati: è uno scontro di civiltà tra un'America laica, conscia dei limiti della propria potenza, favorevole al mercato ma preoccupata della sorte dei più deboli e un'America religiosa, in preda alla vertigine imperiale, ossessionata dal culto di Wall Street e delle armi da fuoco. Esistono due Americhe, frutto di una combinazione di fattori disparati ma che si sono "solidificate" in blocchi contrapposti.
La divisione è ben descritta nel libro di Stanley Greenberg, il sondaggista di Clinton, The Two Americas: i repubblicani non hanno chances di vittoria sulla costa del Pacifico, né su quella atlantica fino al Maryland, i democratici potrebbero risparmiare soldi e fatica ignorando le elezioni in tutto il Sud e l'Ovest (con l'eccezione della Florida). Nelle grandi praterie dal confine col Canada al Texas, Bush prenderà circa il 60% dei voti, la stessa percentuale che toccherà a Kerry in Massachusetts, New York, Connecticut, mentre a Chicago, Seattle e Los Angeles dovrà "accontentarsi" di un confortevole 52-54%. Ma per quale motivo le mappe del voto hanno assunto un carattere stabile?
La risposta è che si intrecciano scelte di valori con questioni economiche. I repubblicani hanno lanciato, dal `68 in poi una strategia basata sulla "ricristianizzazione" dell'America, strategia che ha avuto il suo fulcro nel Sud. È stata una operazione politica di successo, ma che andava in senso contrario a potenti correnti demografiche: oggi ci sono più donne istruite, più ispanici e più professionisti che votano. Tutte queste categorie detestano l'intolleranza, il culto delle armi da fuoco, il bigottismo, l'indifferenza al welfare dei repubblicani. Si tratta di milioni di elettori spinti nel campo democratico proprio dalla crociata dei neoconservatori, che faceva breccia nei ceti a basso reddito sbandierando i "valori tradizionali" della famiglia. Di qui il paradosso per cui le soccer moms, le madri laureate di reddito medio-alto che possono permettersi di far provare ai figli l'esperienza del calcio di tipo europeo votano per Kerry, mentre gli operai edili (non tutti, per fortuna), convinti dalla retorica macho di Bush votano repubblicano. L'intreccio di simboli, status sociale, collocazione geografica ha cristallizzato due Americhe che non sopportano la vittoria dell'altro campo. Se quest'anno, di nuovo, le contestazioni sul voto affideranno il risultato alla Corte Suprema, gli Stati Uniti sono pronti per una nuova guerra civile.
Fabrizio Tonello
Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …