Enrico Franceschini: Cocaina, lo scandalo di Kate travolge le passerelle londinesi

26 Settembre 2005
Soffiata da un paio di spregiudicati tabloid, una tempesta di polvere bianca si è abbattuta sul mondo dell’alta moda: non ha la forza dell’uragano Katrina, fortunatamente, ma di danni ne sta causando lo stesso. Sembrava difficile superare, nella graduatoria delle sciocchezze pagate a caro prezzo dai Vip, il fugace incontro tra Boris Becker e un’avvenente signorina russa, qualche anno fa nella toilette di Nobu, esclusivo ristorante giapponese di Londra: l’amplesso più costoso della storia, considerati i cinque milioni di euro che l’ex-asso del tennis tedesco versò alla sua conquista, dopo che lei ottenne legalmente un indennizzo per il mantenimento del bimbo nato dal rapido coito (un minuto e mezzo, annotarono le cronache). Eppure la sniffata di cocaina fatta nei giorni scorsi da Kate Moss in una sala di registrazione cittadina si è rivelata ancora più cara. La 31enne top-model inglese, che col suo fisico affilato, segaligno, quasi scheletrico, incarna la sensualità anni Duemila come Naomi Campbell, Claudia Schiffer e Linda Evangelista hanno rappresentato quella dei decenni precedenti, aveva contratti per sei milioni di euro con quattro case di moda di cui era il volto, per tacere del corpo, pubblicitario: Chanel, Burberry, Christian Dior, H&M. Ma la sniffata, sbattuta in prima pagina dal Daily Mirror, uno dei tabloid sempre a caccia di scoop scandalistici, sta facendo cadere i suoi contratti come birilli: il primo a licenziare Kate è stato H&M, seguito da Chanel, poi da Burberry. E in attesa che anche Dior prenda una decisione, un altro tabloid è andato a investigare alle feste della Fashion Week londinese, scoprendo anche lì tracce dello stesso vizio: cocaina. Cocaina dappertutto. Non è, ovviamente, solo questione di soldi: Kate Moss potrebbe perdere l’affidamento della bambina di due anni nata dal suo matrimonio con un giornalista; e Scotland Yard ha aperto un’inchiesta nei suoi confronti, evidentemente per appurare se gira con la borsa piena di coca, come scrive il ‟Mirror”, e dove se la procura. Lei ha reagito fuggendo a Ibiza, rompendo il fidanzamento con il cantante Pete Doherty, notorio tossicodipendente, chiedendo scusa ai fans e promettendo di curarsi. Ma non è nemmeno soltanto questione di Kate Moss. La vicenda chiama infatti in causa due universi differenti e paralleli: quello della moda e quello dei media. Che la droga in genere e la cocaina in particolare siano un ingrediente del cocktail a base di sfilate, stilisti e modelle, si dice da un pezzo: le foto del ‟Daily Mirror” si sono limitate a esporre ciò che, ammettono tanti, viene consumato nei camerini o alla toilette.
La sdegnata reazione di Chanel e Burberry, che adesso affermano ‟non possiamo associare il nostro nome a chi si droga”, può dunque apparire ipocrita, anche tenuto conto che nel ‘99 Kate Moss entrò in un centro di recupero e in passato ammise l’uso di stupefacenti. La differenza è tra sapere qualcosa e vederla in prima pagina: il peccato di Kate, in un mondo dell’immagine come la moda, non è tanto avere sniffato bensì non essersi accorta che un tecnico della sala di registrazione stava fotografandola di nascosto. Quanto ai media, nella fattispecie i tabloid inglesi affamati di scandali e pronti a pagare profumatamente per procurarseli, qualcuno lamenta l’intrusione senza limiti nella privacy altrui. Ma la caccia allo scoop, intanto, prosegue indisturbata. Ispirato dal colpo del ‟Mirror”, un tabloid rivale, l’‟Evening Standard”, ha sguinzagliato i suoi cronisti ai party della Settimana della Moda, compreso quello per l’apertura della boutique Versace, e ha trovato ovunque abbondanti tracce di cocaina nei gabinetti. ‟La usiamo tutti”, dice al giornale un’anonima fotomodella. ‟Del resto non possiamo bere troppo, perché l’alcol fa ingrassare. Quello di Kate non è un caso isolato. Il suo errore è stato farsi beccare”.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …