Irene Bignardi: Luchino Visconti. Quando il cinema era leggenda

03 Novembre 2006
Un uomo di contrasti. Fin dal giorno che si è scelto per nascere, il 2 novembre, su cui ironizzava: come si fa a venire al mondo il giorno dei morti, mancando l’appuntamento con quello dei santi? E poi, un aristocratico che diventa comunista. Un uomo incantato dalle donne che diventa omosessuale. Uno che rappresenta la cultura più raffinata e sofisticata e che, almeno a sentire certi testimoni, adora la tv (Nilla Pizzi). Uno che, come ricordano certi suoi attori, poteva essere terribilmente crudele, capace di umiliare la gente dall’alto del suo carisma nobiliare, ma capace anche di un’incredibile generosità. Uno che si è sempre sentito, per certi versi, fuori posto, un artista tra gli aristocratici, un aristocratico tra gli artisti. A cento anni dalla sua nascita e a trenta dalla sua morte, il carisma e la leggenda di Luchino Visconti sono sempre lì intatti, come una storia troppo spettacolare per essere vera. Perché non c’è un altro che possa vantare una simile biografia. Non c’è nessun altro che sia nato in un palazzo di Milano da una famiglia nobile, ricca e, guarda la fortuna, anche colta, per poi diventare un protagonista della vita culturale internazionale. Non ce ne sono tanti nati in una casa dove la passione per la musica e per l’opera erano date per scontate, il bambini, stimolati dalla bella mamma Carla Erba, andavano regolarmente alla Scala nel palco di famiglia, papà Giuseppe, alto e baffuto, a Luchino metteva in mano Proust e chiudeva gli occhi su una sua fuga da sedicenne a Roma al seguito di una morosa, suggerendogli di non limitarsi agli amoretti ma di andare almeno a scoprire le meraviglie dell’arte (nello specifico, il Mosè di San Pietro in Vincoli). Di questo patrimonio di cultura Luchino Visconti è sempre stato consapevole e grato. E lui ha fatto, come da parabola evangelica, fruttare quei talenti. Riconoscendo sempre i meriti di chi lo aveva illuminato, come, in campo politico, gli amici di sinistra che lo avevano portato dentro il Pci. Diventando un regista di cinema, di teatro e d’opera come altri non ce ne sono stati, grandissimo inventore, al di là del gradimento e del successo dei singoli film, di uno stile inconfondibile e proverbiale e di opere che hanno lasciato il segno. Si può discutere se sia stato veramente Ossessione ad aprire la stagione del neorealismo (1942) - dopo tutto erano signori attori quelli che hanno interpretato il film e non i soliti ignoti del neorealismo come ce lo hanno definito- o se La terra trema sia un affresco troppo aspro e arduo, nel suo dialetto siciliano. Restano due capolavori e due punti di svolta. Si può preferire l’amaro realismo di Bellissima alla grande e melodrammatica epopea dell’immigrazione di Rocco e i suoi fratelli. Ma sono due film esemplarmente eloquenti di un mondo e di una stagione. Si può trovare un eccesso ‟operistico” in La caduta degli dei - ma non nel sublime e così personale e sofferente Ludwig. E nel canone letterario che Visconti ha stabilito attraverso le riletture dei ‟suoi” libri - da Cain e Verga, dal Boito di Senso a Tomasi di Lampedusa, dal Mann di Morte a Venezia al D’Annunzio di L’innocente, dall’Elettra dietro a Vaghe stelle dell’orsa al Camus di Lo straniero, da Dostoevskij che lui diceva avesse ispirato in parte La caduta degli dei a Shirer, lo studio storico che lo ha sottinteso - ci ha dato col Gattopardo un capolavoro ‟italiano” (anche se popolato di star internazionali come Burt Lancaster e Alain Delon), in cui si può riconoscere la grande cultura ‟popolare” italiana e una filosofia politica (non sua, non viscontiana, oggettiva) che viviamo anche oggi. La sua vita nel cinema e la sua vita in teatro e all’opera si nutrivano reciprocamente delle sue esperienze e della sua ricchezza culturale. Testori voleva dire l’Arialda a teatro e l’ispirazione di Rocco e i suoi fratelli (assieme all’amato Dostoevskij), la Traviata ispirava le scene madri dei film, il suo amore per Mahler indirizzò in senso musicale la sua Morte a Venezia. Un grande personaggio. Molto tempo prima della sua morte, dopo una lunga malattia che lo aveva indebolito e umiliato, Visconti aveva detto: ‟Stendhal aveva voluto per la sua tomba un’iscrizione: ‘Adorava Cimarosa, Mozart e Shakespeare’. Io vorrei che sulla mia venisse inciso: ‘Adorava Shakespeare, Cecov e Verdi’”. Le sue ceneri vennero invece deposte a Ischia, vicino alla sua amatissima casa La colombaia che adesso è un museo dedicato alla sua arte.

Irene Bignardi

Irene Bignardi (1943) ha lavorato per il servizio cultura de “la Repubblica” fin dalla sua fondazione, e per lo stesso quotidiano è stata critica cinematografica; ha diretto il MystFest, ha …