Fabrizio Tonello: I giochi sporchi dell'archivio Cia

05 Luglio 2007
Ma cosa c'entrano i documenti della Cia consegnati al National Security Archive il 26 giugno con il ruolo di Bob Kennedy nei complotti per assassinare Castro? Apparentemente molto, visto che vari giornali italiani, negli ultimi due giorni, hanno sentito il bisogno di dedicare colonne e colonne di piombo a notizie come il coinvolgimento della mafia nei tentativi falliti di assassinare il leader cubano che sono di dominio pubblico almeno dal 1971 (36 anni fa!) quando Jack Anderson ne scrisse sul Washington Post e comunque dal 1975 quando la commissione Church pubblicò il suo rapporto. Peccato che di Johnny Roselli, un mafioso italoamericano che la Cia voleva utilizzare nei suoi fantasiosi complotti per avvelenare Fidel Castro si sia già parlato per decenni in libri, film di Oliver Stone, serie televisive e quant'altro.
In realtà le redazioni avevano in mente il discorso di Walter Veltroni ieri a Torino e questo ha fatto scattare il ‟click”: poiché Veltroni è sempre stato un grande ammiratore di Bob Kennedy, quale migliore occasione per smontare il suo idolo, per dimostrare che in realtà il giovane senatore assassinato nel 1968 era un personaggio losco, un organizzatore di intercettazioni telefoniche illegali, un collaboratore entusiasta del famigerato McCarthy e il vero responsabile dei tentativi di invadere Cuba? Oltre che figlio di suo padre, noto filonazista, e complice del fratello Presidente che era un maniaco sessuale.
Lasciamo da parte le cose non rilevanti, come le attività di Joseph Kennedy, che non era certo uno stinco di santo e da ambasciatore a Londra effettivamente mandava rapporti filonazisti al Dipartimento di Stato, dove venivano tranquillamente cestinati. Vediamo cosa ci dicono le fonti sui rapporti tra Bob Kennedy e Joseph McCarthy.
Kennedy era un avvocato di fresca nomina quando fu assunto nello staff di McCarthy, il senatore repubblicano del Wisconsin organizzatore della caccia alle ‟spie sovietiche” nel dipartimento di Stato e nell'esercito. Le indagini e i famosi interrogatori dei sospetti comunisti erano però condotti da Roy Cohn, il capo della squadra di investigatori di McCarthy: Bob Kennedy si occupava di commercio tra gli alleati europei e la Cina di Mao, un tema che non aveva nulla a che fare con la ‟caccia alle streghe”. Il lavoro per McCarthy durò meno di un anno e, nel 1954, Kennedy passò al servizio del senatore democratico Henry ‟Scoop” Jackson, scontrandosi più volte (in un paio di occasioni quasi fisicamente) con Roy Cohn. Benché il populismo di McCarthy fosse qualcosa che lo attirava, i suoi metodi gli ripugnavano e la collaborazione fu di breve durata, come ha dimostrato Jeff Shesol nel suo Mutual Contempt.
Il 20 gennaio 1961, in una giornata freddissima, Robert era a Washington, a fianco del fratello John mentre questi pronunciava il suo discorso inaugurale: ‟La fiaccola è passata nelle mani di una nuova generazione di americani, nati in questo secolo, temprati dalla guerra, che hanno appreso la disciplina in una dura e amara pace, orgogliosi della nostra eredità e che rifiutano di assistere o di permettere il lento declino di quei diritti umani verso i quali questa Nazione è sempre stata impegnata e verso i quali siamo impegnati oggi, a casa nostra e nel mondo”.
Un linguaggio che non suonava come realpolitik, o accettazione del bipolarismo con l'Urss, ma piuttosto come un impegno totale di lotta contro il comunismo, impegno dal quale non si poteva tornare indietro, né accettare compromessi: ‟Che ogni nazione sappia (...) che noi pagheremo ogni prezzo, porteremo ogni fardello, affronteremo ogni sofferenza, combatteremo ogni nemico per assicurare la sopravvivenza e il successo della Libertà”. È in questo contesto che va vista l'‟ossessione” di entrambi i fratelli Kennedy per Fidel Castro. Non dimentichiamo che la rivoluzione cubana era arrivata al potere solo due anni prima dell'insediamento di John alla Casa Bianca e che il giovane presidente era terrorizzato dall'idea di mostrarsi debole verso l'Unione Sovietica e i suoi alleati, in particolare dopo la fallita invasione di Cuba alla Baia dei porci, un'operazione preparata dall'amministrazione Eisenhower e sostenuta solo a malincuore da Kennedy.
I documenti dimostrano che era Bob Kennedy a organizzare, o quanto meno coprire, le attività della Cia nell'isola a partire dal novembre 1961, ma non ci dicono nulla che non si sapesse già. Ben più interessante è il ruolo di Robert all'interno dell'Executive Committee durante la crisi dei missili a Cuba, scoppiata il 16 ottobre 1962. Fu in quella sede che il più giovane dei due fratelli comprese che la guerra nucleare era una possibilità reale e che occorreva prevenirla a qualunque costo.
Il giudizio su Bob tramandato da storici amici di famiglia come Arthur Schlesinger in Robert Kennedy and His Times può essere stato apologetico ma non c'è dubbio che John e Robert Kennedy entrarono nella crisi dell'ottobre 1962 da ideologi della guerra fredda e ne uscirono da grandi statisti. Scatenarono una crisi che si poteva evitare (i missili a Cuba non cambiavano nulla nell'equilibrio del terrore) ma capirono immediatamente che le crisi possono scappare di mano, che gli incidenti locali, nell'era atomica, devono essere circoscritti, anzi soffocati.
Questa improvvisa, e sorprendente, maturazione avvenne nel corso di riunioni in cui diplomatici ben più stagionati, come Dean Acheson e Dean Rusk, oltre che le teste calde fra i generali dell'aviazione, proponevano di bombardare le installazioni russe, o magari invadere Cuba con un'operazione in grande stile. Robert McNamara si preoccupava di ‟avere un governo pronto per l'Avana”. Fu Bob Kennedy a ipotizzare la soluzione di un ritiro dei missili sovietici dai Caraibi in cambio del ritiro dei missili americani Jupiter dalla Turchia, un ritiro basato su una promessa verbale dello stesso Bob all'ambasciatore sovietico Dobrynin. E questa fu la soluzione, mantenuta segreta per molti anni, che salvò il mondo da una guerra nucleare.
In quell'ottobre 1962 maturò anche l'animosità reciproca fra Robert Kennedy e Lyndon Johnson, un astio che avrebbe avuto conseguenze politiche pesanti dopo la morte di John Kennedy a Dallas nel 1963. Diventato presidente, Johnson sembrò voler provare a se stesso, prima ancora che al pubblico americano o all'opinione pubblica mondiale, che il ‟fallimento” a Cuba non poteva essere ripetuto in Vietnam. Di qui l'aumento progressivo delle truppe, ingannando il Congresso con l'incidente prefabbricato nel golfo del Tonchino, nell'agosto 1964. La politica vietnamita di Johnson lo condurrà dal trionfo elettorale di quell'anno all'umiliante ritiro del marzo 1968, dopo l'offensiva del Tet.
Bob Kennedy, che aveva inizialmente approvato la politica vietnamita, divenne sempre più scettico e, negli ultimi mesi di vita, ostile all'escalation. La sua decisione di partecipare alle primarie democratiche per la candidatura alle presidenziali del 1968 fu legata, più che all'ambizione personale o al desiderio di emulare il fratello, all'opposizione alla guerra, che ormai considerava sbagliata e suscettibile di indebolire gli Stati Uniti. Non è detto che Bob Kennedy sarebbe stato davvero il candidato dei democratici alle elezioni di novembre: nel 1968 solo il 30% dei delegati alla convention veniva eletto nelle primarie e il restante 70% era nelle mani dei boss del partito, che sostenevano il vicepresidente Hubert Humphrey. Tuttavia si trattava di una reale possibilità. Il suo assassinio il 6 giugno 1968, dopo la vittoria nella primaria della California, cancellò la speranza di far finire la guerra anni prima di quanto poi realizzato da Nixon e Kissinger.
Questo è il motivo per cui Bob Kennedy è rimasto nel cuore di milioni di giovani di tutto il mondo a dispetto di coloro che frugano nelle vecchie storie di intercettazioni telefoniche.

Fabrizio Tonello

Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …