Miracolo di Beethoven. Barenboim cittadino palestinese

14 Gennaio 2008
Da almeno dieci anni, sfidando le ire di molti compatrioti, si dedica ad un genere a lungo trascurato: aiutare i palestinesi a migliorare la loro vita negletta. È giocoforza aspettarsi che, dopo aver ricevuto la cittadinanza onoraria del ‟nemico”, per i meriti acquisiti nel diffondere la musica in Palestina, un’ulteriore dose di polemiche, oltre a quelle passate, s’abbatterà su di lui.
Stasera, tuttavia, Barenboim è carico e raggiante, come se fosse appena uscito dalla trionfale prima del Tristan und Isolde alla Scala. Più modestamente, siamo nella hall del Palazzo della Cultura di Ramallah, nel cui auditorium il maestro ha appena finito di eseguire da par suo tre sonate di Beethoven (la n.1, la n.18 e la n.23), quasi a voler sottolineare con la scelta del programma la ‟fede inalterabile nell’uomo”, l’”ottimismo volontario” anche nei momenti più tragici della storia, che accompagnarono il grande musicista tedesco. ‟La musica - semplifica Barenboim - non è andare al concerto per dimenticare il resto. La musica è più di questo: è la capacità di capire il mondo, gli esseri umani”.
È presentando la serata che Mustafà Barguti, l’ex ministro dell’Informazione, infaticabile animatore della Palestinian Medical Relief Society, annuncia alla platea entusiasta la concessione della cittadinanza onoraria a Barenboim. E allora è obbligatorio chiedere al maestro se lui, un cittadino israeliano, non si sia sentito in imbarazzo ad accettare quel secondo passaporto. ‟L’ho accettato non soltanto perché lo considero un grande onore, ma anche perché credo che i destini dei nostri due popoli siano inestricabilmente uniti e non esista una soluzione militare. Se così si può dire, israeliani e palestinesi sono condannati (Barenboim dice in inglese: ‟blessed”, benedetti, o ‟coursed”, maledetti, ‟ma io preferisco il primo termine”) a vivere insieme. Il fatto che un cittadino israeliano possa essere insignito della cittadinanza palestinese può essere un segno che la coesistenza è possibile”.
Tuttavia, il concerto appena finito non ha niente a che vedere con l’onorificenza concessa al maestro. La serata al Palazzo della cultura è, semmai, un altro piccolo passo che Barenboim ha voluto compiere verso la meta che ha così riassunto prima di concedere il bis: ‟La ragione di questo concerto è un’occasione speciale. Ci sono quasi sempre dei motivi particolari in queste esibizioni. Ora dico: per favore, aiutatemi a costruire una vita musicale normale a Ramallah e nelle altre città dei Territori”. Ma qual è questa ‟occasione speciale”? Quasi una storia nella storia. Barenboim ha suonato su un fiammante ‟gran coda”, Steinwey & Sons, lo strumento più ambito dai grandi pianisti, messo a punto da un accordatore venuto appositamente dall’Olanda. Il pianoforte è stato acquistato grazie ad una sottoscrizione lanciata da una signora tedesca, un’ammiratrice del maestro. ‟Nel dicembre del 2006 - racconta Barenboim - la signora è venuta ad ascoltare un mio concerto a Ramallah. Dopo il concerto, salutandomi, mi ha detto: ‟Vorrei fare qualcosa per la musica in Palestina” e ha fatto il gesto di offrire del denaro. Io le ho risposto che non potevo accettare soldi. Ma lei non s’è arresa: ‟Non crede - mi ha detto - che l’orchestra di Ramallah meriti un vero pianoforte?” Così ha deciso di aprire una sottoscrizione. La data fissata per la prima esecuzione del piano era il 12 gennaio 2008, oggi. Ed è per onorare quest’impegno che sono venuto. Purtroppo quella persona generosa è morta il mese scorso”.
Non è per l’eccezionalità dell’evento in programma che stasera Ramallah dà al visitatore un’impressione di tranquillità. E’ già successo in passato nei lunghi periodi di tregua. I semafori funzionano e vengono rispettati. Le strade principali sono ben tenute. Un manto compatto d’asfalto ricopre le voragini dell’ultima intifada. La piazza dei Leoni è libera di uomini armati e mascherati. Gli ultimi avventori s’attardano nei negozi illuminati. Il pubblico che riempie il Palazzo della Cultura è la rara manifestazione di un fantasma: la società civile palestinese. Che c’è, ma resta oppressa dai radicalismi. Molti uomini sono in giacca e cravatta, come si conviene. Kefieh, poche. Barbe, pochissime.
Sul palco, la sua immagine riflessa dal mogano brillante dello Steinway, Barenboim offre un esempio di bellezza, armonia, disciplina e rigore, nonostante qualche pianto di neonato in sala e qualche applauso fuori luogo. Sono semmai le telecamere e le macchie fotografiche ad infastidire il maestro: ‟Please, no cameras and no photos”. ‟Sono venuto a suonare per il pubblico di Ramallah”, precisa. Insomma, una gran bella atmosfera, uno di quei momento in cui tutto si crede possibile. Anche la pace, perché no.

Daniel Barenboim

Daniel Barenboim (1942) è un pianista e direttore d'orchestra argentino-israeliano. A sette anni dà il suo primo concerto ufficiale nella sua città. Nel 1952 si trasferisce con la famiglia in …