Fabrizio Tonello: Presidenziali USA. Corsa in salita per McCain
08 Settembre 2008
Steve Schmidt, oltre che il direttore della campagna di McCain, è un buon giocatore di poker e il bluff che ha abilmente realizzato venerdì (scegliere come candidata alla vice presidenza una donna giovane, attraente e religiosissima come Sarah Palin) gli ha fatto guadagnare qualche fiche dopo le perdite della settimana. Da lunedì a giovedì, infatti, le carte buone sono state tutte in mano ai democratici, che hanno portato a casa 8 punti di vantaggio nell'ultimo sondaggio Gallup. Otto punti sono un'enormità, e nei prossimi giorni vedremo probabilmente restringersi lo scarto fra Barack Obama e John McCain, anche grazie al fatto che la convention repubblicana inizia lunedì e concentrerà l'attenzione dei media.
Le qualità di Schmidt al tavolo verde sono evidenti: questa campagna elettorale è come una serata in cui tutti gli assi finiscono regolarmente in mano all'avversario. Si può vincere anche con una doppia coppia (soprattutto se l'avversario non ha fiducia in se stesso). Si può avere qualche piatto fortunato. Si può bluffare con niente in mano ma, alla lunga, l'esito della partita è scontato. Quindi Schmidt si ingegna con le carte che ha in mano e spera che i suoi avversari (David Axelrod e David Plouffe, manager di Obama) facciano molti errori.
Fin qui, Axelrod e Plouffe hanno giocato un po' come giocano i pokeristi che hanno perso troppe volte nella loro vita: niente rischi. Di fronte all'aggressività dei repubblicani, la campagna di Obama è andata sul sicuro: lunghi racconti di figli, mogli, mamme, nonne seguiti da citazioni del Sogno Americano in ogni paragrafo e da Dio, Patria e Famiglia in abbondanza. Giocando in modo preciso e diligente hanno vinto le primarie su Hillary e hanno continuato così, a rischio di farsi infinocchiare dallo stile spregiudicato di Schmidt (chi avrebbe pensato a uno spot televisivo che paragonava il serissimo professor Obama alla starlette Paris Hilton?).
Quando hanno visto che il vantaggio nei sondaggi stava sparendo, Axelrod e Plouffe si sono messi a giocare in maniera più determinata, battendosi su ogni piatto. Con spot televisivi non eccezionali ma efficaci hanno incassato qualche buon colpo (le sette case che McCain non ricordava di avere, per esempio). Ora, si entra nella fase finale della partita e il gioco si fa duro (si guardi il primo spot di McCain e Palin assieme, diffuso ieri, dove si insinua che Obama sia musulmano).
La fortuna di Axelrod e Plouffe sta nelle condizioni strutturali di questa campagna elettorale: un'economia in sofferenza, una guerra impopolare, un presidente detestato da due terzi degli americani. Lunedì si apre a Minneapolis la convention e parlerà Bush, una performance che difficilmente migliorerà l'immagine del partito, e venerdì McCain accetterà ufficialmente la nomina a candidato. Per quanto abili siano gli strateghi repubblicani, i numeri rimangono a favore dei democratici.
Quest'anno il partito di Obama farà incetta di deputati e senatori: i suoi candidati hanno una vantaggio di dieci punti, a livello nazionale, su quelli repubblicani. In gennaio, chiunque sia il presidente, il Congresso avrà solide maggioranze democratiche. E, per la prima volta da decenni, il candidato democratico dispone di più fondi di quello repubblicano. Non solo: hanno anche più volontari sul territorio e più entusiasmo.
Infine, come a poker, conta la matematica: quante probabilità ha McCain di replicare il risultato di George Bush nel 2004? Negli Stati Uniti, l'elezione presidenziale dipende da un collegio elettorale dove si può avere la maggioranza anche senza avere ottenuto più voti popolari dell'avversario (come accadde a Bush nel 2000 con Gore). Quattro anni fa, Bush ottenne 286 voti elettorali, 16 più del necessario, vincendo in stati che spesso votano democratico come Iowa e New Mexico (insieme, 12 voti). Quest'anno, Iowa e New Mexico andranno a Obama, lasciando McCain a quota 274. I democratici devono quindi vincere in un solo stato oltre a quelli dove prevalse un pessimo candidato come Kerry, più Iowa e New Mexico, per entrare alla Casa Bianca.
Sei gli stati in bilico: Florida, Virginia, Ohio, Missouri, Colorado e Nevada. McCain deve vincere in tutti e sei o perderà le elezioni. Basterebbe, ad esempio, il Nevada (5 voti elettorali) per mettere i due candidati in perfetta parità (269 voti a testa) e rinviare così l'elezione davanti alla Camera dei rappresentanti, dove i democratici sono in maggioranza. I sondaggi danno Obama in vantaggio in almeno tre stati, in particolare in Colorado, dove si è tenuta la convention democratica. Quante probabilità ha Steve Schmidt di fare una scala reale per battere il poker d'assi di Axelrod e Plouffe?
Le qualità di Schmidt al tavolo verde sono evidenti: questa campagna elettorale è come una serata in cui tutti gli assi finiscono regolarmente in mano all'avversario. Si può vincere anche con una doppia coppia (soprattutto se l'avversario non ha fiducia in se stesso). Si può avere qualche piatto fortunato. Si può bluffare con niente in mano ma, alla lunga, l'esito della partita è scontato. Quindi Schmidt si ingegna con le carte che ha in mano e spera che i suoi avversari (David Axelrod e David Plouffe, manager di Obama) facciano molti errori.
Fin qui, Axelrod e Plouffe hanno giocato un po' come giocano i pokeristi che hanno perso troppe volte nella loro vita: niente rischi. Di fronte all'aggressività dei repubblicani, la campagna di Obama è andata sul sicuro: lunghi racconti di figli, mogli, mamme, nonne seguiti da citazioni del Sogno Americano in ogni paragrafo e da Dio, Patria e Famiglia in abbondanza. Giocando in modo preciso e diligente hanno vinto le primarie su Hillary e hanno continuato così, a rischio di farsi infinocchiare dallo stile spregiudicato di Schmidt (chi avrebbe pensato a uno spot televisivo che paragonava il serissimo professor Obama alla starlette Paris Hilton?).
Quando hanno visto che il vantaggio nei sondaggi stava sparendo, Axelrod e Plouffe si sono messi a giocare in maniera più determinata, battendosi su ogni piatto. Con spot televisivi non eccezionali ma efficaci hanno incassato qualche buon colpo (le sette case che McCain non ricordava di avere, per esempio). Ora, si entra nella fase finale della partita e il gioco si fa duro (si guardi il primo spot di McCain e Palin assieme, diffuso ieri, dove si insinua che Obama sia musulmano).
La fortuna di Axelrod e Plouffe sta nelle condizioni strutturali di questa campagna elettorale: un'economia in sofferenza, una guerra impopolare, un presidente detestato da due terzi degli americani. Lunedì si apre a Minneapolis la convention e parlerà Bush, una performance che difficilmente migliorerà l'immagine del partito, e venerdì McCain accetterà ufficialmente la nomina a candidato. Per quanto abili siano gli strateghi repubblicani, i numeri rimangono a favore dei democratici.
Quest'anno il partito di Obama farà incetta di deputati e senatori: i suoi candidati hanno una vantaggio di dieci punti, a livello nazionale, su quelli repubblicani. In gennaio, chiunque sia il presidente, il Congresso avrà solide maggioranze democratiche. E, per la prima volta da decenni, il candidato democratico dispone di più fondi di quello repubblicano. Non solo: hanno anche più volontari sul territorio e più entusiasmo.
Infine, come a poker, conta la matematica: quante probabilità ha McCain di replicare il risultato di George Bush nel 2004? Negli Stati Uniti, l'elezione presidenziale dipende da un collegio elettorale dove si può avere la maggioranza anche senza avere ottenuto più voti popolari dell'avversario (come accadde a Bush nel 2000 con Gore). Quattro anni fa, Bush ottenne 286 voti elettorali, 16 più del necessario, vincendo in stati che spesso votano democratico come Iowa e New Mexico (insieme, 12 voti). Quest'anno, Iowa e New Mexico andranno a Obama, lasciando McCain a quota 274. I democratici devono quindi vincere in un solo stato oltre a quelli dove prevalse un pessimo candidato come Kerry, più Iowa e New Mexico, per entrare alla Casa Bianca.
Sei gli stati in bilico: Florida, Virginia, Ohio, Missouri, Colorado e Nevada. McCain deve vincere in tutti e sei o perderà le elezioni. Basterebbe, ad esempio, il Nevada (5 voti elettorali) per mettere i due candidati in perfetta parità (269 voti a testa) e rinviare così l'elezione davanti alla Camera dei rappresentanti, dove i democratici sono in maggioranza. I sondaggi danno Obama in vantaggio in almeno tre stati, in particolare in Colorado, dove si è tenuta la convention democratica. Quante probabilità ha Steve Schmidt di fare una scala reale per battere il poker d'assi di Axelrod e Plouffe?
Fabrizio Tonello
Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …