Darwin Pastorin: Juve. Il gusto di vincere

06 Maggio 2002
Mi sento bene, da campione d'Italia. Con gli occhi lucidi e il cuore che va a mille. Perché essere tifosi significa restare fanciulli, inseguire un sogno infinito, riabbracciare la propria giovinezza. La Juventus ha vinto lo scudetto per la ventiseiesima volta, al termine di una stagione bellissima, pulita, con una conclusione degna di un romanzo d'appendice. La Lazio ha onorato la propria storia e la propria maglia, la Roma ha lottato a vinto al Delle Alpi.
Mi hanno colpito, nel profondo del cuore, le lacrime di Ronaldo. Sono vicino al mio connazionale e gli voglio solo dire che il pallone è questo: felicità e amarezza, gioia sfrenata e malinconia profonda. Ma c'è sempre un domani, c'è sempre una possibilità di riscatto: perché tra pochi mesi si ricomincia, e ci sarà il tempo della rivincita. Ma, adesso, per favore fatemi vivere queste ore, questi momenti. Conquistare il titolo all'ultima giornata è qualcosa di struggente, meraviglioso. Accadde così anche in occasione del mio primo scudetto, nella stagione 1966-67. Avevo lasciato il Brasile e il mio Palmeiras. Arrivato a Torino, decisi di diventare juventino. Il nome agì: Juventus cioè gioventù. Le maglie bianconere, la presenza di Cinesinho, ex palmeirense. In quel 1967 tutto sembrava compiuto. La Grande Inter di Helenio Herrera che va a Mantova, con lo scudetto in tasca. La Juve che deve affrontare, al Comunale, la Lazio. Atmosfera da cronaca di una vittoria annunciata. Chi poteva fermare Sarti, Burgnich, Facchetti? Alla Juve operaia di Heriberto Herrera, al contrario, poteva persino bastare il secondo posto, una orgogliosa piazza d'onore. Invece, ecco Eupalla decidere diversamente. Divertirsi a rovesciare il destino. Il centravanti Di Giacomo beffa Giuliano Sarti, che si rende protagonista di una «papera» assurda. Al Comunale, finisce 2-1. Tutti in campo a festeggiare, tutti in campo a ringraziare un fato diventato improvviasamente amico. Corsi e ricorsi storici. Ieri come oggi. Sul filo di lana, il sorpasso: ed è l'epica del football a trionfare, la sua natura irrazionale, il fatto di non essere una scienza esatta, ma una passione.
Sono juventino, e lo sarò per sempre. La squadra del mio amato poeta crepuscolare Guido Gustavo Gozzano, di Mario Soldati, di Togliatti, Berlinguer e Veltroni, di intellettuali e operai, una squadra che è nata dagli studenti del liceo classico Massimo d'Azeglio, lo stesso di Cesare Pavese, ma che possiede la sua anima nei lavoratori meridionali della Fiat Mirafiori. Aveva ragione Giovanni Arpino: la Juventus è universale, un "esperanto" anche calcistico.
Il primo scudetto è del 1905, la squadra dei pionieri, di Durante, un pittore, e di Donna, di Varetto e Goccione. L'ultimo è storia di qualche ora fa, anno di grazia 2002. Una vittoria che porta la firma di Marcello Lippi. È tornato sulla panchina bianconera per miracolo rimostrare, dopo la parentesi negativa all'Inter. Ha lottato sino alla fine, non ha mai abbandonato la speranza, ha saputo, da ottimo psicologo, gestire gli umori dello spogliatoio, si è impossessato dei cervelli e non soltanto dei muscoli dei suoi giocatori. Un allenatore che ha cambiato pelle e carattere: non più nuvole d'ira, ma una recuperata saggezza. La Juve è la sua casa. I dirigenti hanno saputo operare sul mercato con intelligenza e buonsenso: Buffon appartiene alla nostra storia, come Combi e Zoff, come Anzolin e Tacconi. Poi, i giocatori: il rinato Del Piero, l'implacabile Trezeguet, il ferrigno Davids, l'inossidabile Ferrara, il sorprendente Zalayeta, il rocambolesco Tudor, l'elegante Zambrotta, lo sfortunato Salas, l'apprendista asso Guzman. Infine, i tifosi. Quelli veri. Dalla Sicilia alla Valle d'Aosta. Siamo in undici milioni. Undici milioni. E aumenteranno dopo questo ventiseiesimo scudetto.
La voglia di vincere non ci è passata, non ci passerà mai. Adesso chiediamo ai ragazzi un ultimo sforzo: la Coppa Italia. Ricordi, Lippi? Sei arrivato alla Juventus nella stagione 1994-95, portandoci scudetto e Coppa Italia. Che bello questo ripetersi, senza monotonia. E dopo quell'anno, giunse la Champions League. Sì, è bello essere bianconeri!

Darwin Pastorin

Darwin Pastorin, italobrasiliano, è nato a San Paolo del Brasile nel 1955. Ha lavorato vent’anni a “Tuttosport”, nel 1998 diventa direttore della redazione sportiva di Tele+, è editorialista di “il …