Desmond Tutu: Non è mai tardi per perdonare

10 Luglio 2002
Questa intervista a Desmond Tutu compare sul numero 72 di Lettera Internazionale, la rivista diretta da Federico Coen che viene pubblicata in dieci edizioni (dalla Francia alla Germania, dall’Ungheria alla Romania) e che ha raggiunto il diciottesimo anno di vita.

Quali circostanze hanno reso possibile l'abolizione dell’apartheid in Sudafrica? In particolare, quale influenza ha avuto la pressione dell’opinione pubblica internazionale?
I momenti di svolta della Storia si manifestano attraverso una concomitanza di circostanze. Nel caso del Sudafrica, la principale circostanza che ha portato alla fine dell’apartheid è stata la volontà dei comuni cittadini sudafricani, che non volevano più essere sfruttati e oppressi dai Signori dell'apartheid. L’appoggio della comunità internazionale ha dato loro coraggio e speranza e ha contribuito a confermare la giustezza della loro causa. Nessun paese può vivere nell’isolamento, la campagna del movimento internazionale contro l’apartheid ha dato un contributo molto efficace a porre fine all'apartheid. I nostri amici nel mondo sono ampiamente meritevoli per questo.

Con l’abolizione dell’apartheid si è resa necessaria la riparazione dei crimini commessi nel lungo periodo in cui ha avuto vigore. Come si è arrivati a scegliere la creazione di una Commissione per la Verità e la Riconciliazione, da Lei presieduta, in luogo di una soluzione del tipo processo di Norimberga o sul modello del tribunale internazionale per i crimini di guerra applicato per esempio al dittatore serbo Milosevic; o all’opposto il ricorso a un’amnistia generalizzata applicata in Cile dopo la dittatura di Pinochet?
La Commissione per la Verità e Riconciliazione è stata il risultato di un compromesso atto a costituire un governo di unità nazionale che sostituisce il precedente regime di apartheid. Tutti i partiti politici sono stati rappresentati ai negoziati che si sono tenuti presso il World Trade Centre a Kemton Park fuori Johannesburg. E' significativo che nelle trattative fossero coinvolti soltanto sudafricani. Non ci sono state interferenze o influenze esterne da parte di mediatori internazionali.
I gruppi politici della destra bianca temevano che un governo di neri sarebbe stato vendicativo e avrebbe bersagliato i membri della polizia e i membri delle forze di sicurezza speciale che avevano perpetrato le atrocità contro coloro che si opponevano all’apartheid. Essi si rifiutarono di firmare i documenti per la costituzione di un Governo di Unità Nazionale fino a che non fossero stati presi dei provvedimenti per proteggere gli esecutori delle gravi violazioni dei diritti umani. Insistevano per l’amnistia. Fu loro risposto che, se fosse stata concessa un’amnistia, sarebbe stato altrettanto giusto pretendere qualche forma di riparazione per coloro che avevano sofferto sotto le mani dei persecutori.
Così è nata l’idea di una Commissione per la Verità e la Riconciliazione, cui si è arrivati con il relativo Atto costitutivo. I responsabili della preparazione di questo Atto hanno fatto ampiamente riferimento all’esperienza di altre commissioni di inchiesta in situazioni post-conflitto, come il processo di Norimberga e gli eventi cileni. In Sudafrica, però, non c’erano né vincitori né vinti, a differenza, per esempio, che in Germania. Il pericolo di una guerra civile e di un bagno di sangue era quindi drammaticamente reale, ed era fondamentale introdurre il più rapidamente possibile un metodo per gestire gli orrori del nostro passato.

La via della riconciliazione percorsa in Sudafrica da Mandela e da Tutu è stata ispirata essenzialmente a considerazioni di ordine politico (evitare a ogni costo la disintegrazione della Repubblica Sudafricana) o c’è in essa anche un’idea filosofica più generale, basata sul valore liberatorio del perdono, che dovrebbe accomunare la vittima e l’autore delle violenze, alla sola condizione della sincera confessione dei crimini?
La Commissione per la Verità e la Riconciliazione fu istituita per superare uno stallo politico, a partire dalla constatazione che, se non si fosse approntato un meccanismo per gestire le ingiustizie del passato, quelle stesse ingiustizie avrebbero continuato ad affliggere il nuovo governo e a minacciare le fragili strutture della giovane democrazia. Non c’era nessuna richiesta nell’Atto costitutivo che le persone perdonassero o fossero perdonate. Le occasioni in cui i persecutori hanno chiesto il perdono alle proprie vittime sono state il frutto di un’esigenza umana individuale. La Commissione per la Verità e la Riconciliazione è stata un forum sensibile nel quale sia le vittime che i carnefici hanno avuto la possibilità di confrontarsi come esseri umani. Alcuni hanno avuto il merito di riconoscere la nostra comune vulnerabilità come creature umane, e in quel contesto di dare e ricevere perdono.

Come lei sa, questa idea del perdono riparatore è stata largamente applicata dalle autorità religiose, e in particolare dall’attuale pontefice cattolico che continua da molti anni a chiedere perdono in tutte le direzioni per i crimini commessi dalla Chiesa nella sua opera più che millenaria. Quale valore autentico può avere, a suo avviso, una richiesta unilaterale di perdono rivolta non alle vittime delle violenze ma ai loro discendenti più o meno lontani?
Non è mai troppo tardi per il pentimento. Noi non possiamo sapere se perfino un Adolf Hitler non si sia pentito negli ultimi istanti della sua vita e forse potremmo anche scoprire che ci abbia preceduto nell’attraversare le porte del Paradiso. I passi da compiere per il perdono e per la ricomposizione di un rapporto spezzato sono chiari. In primo piano stanno il riconoscimento di un comportamento sbagliato, l’ammissione e le scuse a coloro che sono stati colpiti da questo comportamento sbagliato. Le scuse potranno essere accettate, si potrà essere perdonati, ma la genuinità del pentimento deve essere dimostrata dalla forma della riparazione. Se io ho rubato la tua penna e me ne scuso e tu mi dici che mi perdoni per la mia mancanza, le mie scuse non avranno valore finché non ti rendo la penna o non attuo qualche altra forma di riparazione.

A distanza di oltre cinque anni dall’entrata in attività della Commissione da Lei presieduta si può ritenere che il bilancio è positivo? Ritiene che il Sudafrica nel prossimo futuro possa considerarsi al riparo dal pericolo di una ricaduta nell’apartheid, e comunque di una guerra civile?
La Commissione per la Verità e la Riconciliazione non ha operato per punire gli errori del passato perché questo sarebbe stato un obiettivo impossibile. Ha operato per creare un clima che incoraggiasse la riconciliazione e in questo senso credo che sia stata ampiamente efficace. La Commissione ha dato voce e riconoscimento a chi era ferito ed è stato ferito per anni. Per esempio, una delle vittime, che ha perso la vista dopo essere stato ferito dalla polizia, ha ringraziato la giuria dei commissari per avergli concesso l’opportunità di raccontare la sua storia e ha concluso: "Oggi mi avete restituito i miei occhi".
Dopo la Commissione, nessun sudafricano potrà dire "Io non lo sapevo". Una grande quantità di nuove informazioni è venuta alla luce. Abbiamo conosciuto la verità su molti incidenti di cui prima non si sapeva nulla. Persone che erano "scomparse" sono state dissepolte dalle fosse comuni e i loro cari hanno potuto celebrare i funerali e seppellire di nuovo i loro morti dignitosamente. Sono convinto che l’operato della Commissione abbia fortemente contenuto il pericolo del ripetersi della spirale di violenza.

Esistono nel continente africano o altrove situazioni di persecuzione razzista paragonabili all’apartheid sudafricana in cui sia possibile trarre vantaggio dall’esempio del Sudafrica?
Sembra che esista una naturale tendenza negli esseri umani a essere sospettosi di altri diversi da loro per linguaggio, cultura, aspetto, religione, eccetera, qualcosa che ha a che fare con l’egoismo e con la scarsità delle risorse. L’apartheid è una forma estrema di questa angosciosa preoccupazione per se stessi, di questo razzismo che lacera le nazioni e provoca dolore e sofferenza immaginabili alle sue vittime.
Ognuno di noi è predisposto a questo male, ed è inutile puntare il dito contro il Ruanda, la Bosnia, l’Irlanda del Nord fino a che non riconosciamo che anche noi ne siamo sottilmente portatori.
La caratteristica irripetibile della Commissione per la Verità e per la Riconciliazione è la sua trasparenza. Niente è stato nascosto, ogni aspetto dell’operato della Commissione è stato reso pubblico e abbiamo dovuto attraversare grandi sofferenze e privazioni per assicurare che fosse così. Questa trasparenza segna il cammino per noi tutti. Ci insegna che possiamo imparare l’uno dall’altro, che la nostra diversità deve essere apprezzata, accettata e celebrata perché, se io ho qualcosa che tu non hai, tu hai qualcosa che io non ho. Siamo fatti per la reciprocità, per costruirci uno con l’altro, per la condivisione, per l’interdipendenza. "Non posso parlare per gli altri, ma so che in altri paesi africani, e non solo, esistono regimi orrendamente repressivi, ma l’apartheid è per me qualcosa che è successo in Sudafrica, nel mio paese, alla mia gente e non sono sicuro che la nostra esperienza sia veramente ripetibile altrove.

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