Marco D'Eramo: L'era romantica della matematica

10 Luglio 2002
Fu povero per tutta la sua brevissima vita: 26 anni e otto mesi, prima di morire di tisi, tra le braccia della sua fidanzata Christine (ma prima della fine aveva fatto promettere al suo migliore amico che l'avrebbe sposata: e così fu). La sua opera maggiore andò perduta tra le carte del grande francese a cui speranzoso l'aveva invitata. La lettera che annunciava la raggiunta sicurezza economica e il riconoscimento ufficiale al suo genio arrivò quando la sua salma stava per essere sepolta. Sembra tratta di peso da un'antologia romantica questa biografia. Non mancano altri particolari. Bella donna, sua madre amava divertirsi e bere: al funerale del marito si ubriacò e andò a fare l'amore con un bracciante della fattoria. Ma non stiamo parlando di un poeta, o di un musicista. È di un matematico norvegese che si tratta, Niels Henrik Abel (1802-1828), di cui quest'estate ricorre il bicentenario della nascita (vedi articolo accanto). Ma Abel non è il solo matematico dell'800 la cui vita sia un condensato di romanticismo.

Intanto non è l'unico a morire di tisi: simile destino lo subì Georg Friedrich Bernard Riemann (1826-1866), anche se la sorte gli concesse dodici anni in più di vita e di ricerche matematiche. Ma quale vita più romantica di quella di Evariste Galois (1811-1832), genio misconosciuto, giovane sulle barricate della rivoluzione di luglio (1830), ucciso in duello per una ragazza a soli 21 anni? E la leggenda narra che Galois compose la memoria che lo rese celebre la notte prima del duello (un po' come un'altra leggenda riportata da Cornelio Tacito vuole che Petronio Arbitro componesse il Satyricon nella notte in cui attuò il suo lunghissimo suicidio). E che dire di Jean Victor Poncelet (1788-1867) che formulò la sua geometria proiettiva con dei carboncini che riusciva a racimolare nella prigione di Saratov sul Volga dove, 24-enne ufficiale del genio nella Grande Armata napoleonica - era stato recluso dai russi che l'avevano catturato il 18 novembre 1812 dopo la disfatta di Krasnoe, dove era stato dato per morto e abbandonato? Per non parlare di Willian Rowan Hamilton (1805-1865), il più grande scienziato irlandese mai vissuto, il cui nome è reso imperituro dalla funzione hamiltoniana che descrive tutti i sistemi fisici: Hamilton morì completamente alcolizzato e, nel suo studio ridotto a un letamaio, tra tonnellate di carte, furono trovate montagne di resti, cotolette scarnificate, formaggi, pani stantii. E questa carrellata di grandi geni matematici dell'800 non può non concludersi con Georg Cantor (1845-1918), il padre della teoria degli insiemi, quasi coetaneo di Friedrich Nietzsche (1844-1900) e, come lui, morto in preda alla follia. (Tutti questi dettagli sono tratti da un vecchio, ma sempre di piacevolissima lettura, libro di Eric T. Bell, I grandi matematici, che fu ristampato da Sansoni nel 1966: ed è un peccato che sia oggi introvabile).

Ecco dunque un giovane tisico povero in canna, un altro giovane morto in duello, un prigioniero di guerra, un alcolizzato, un genio inabissatosi nel gorgo della pazzia.In nessun altra epoca al mondo le biografie dei matematici sono state così inequivocabilmente, totalmente romantiche. Ma non è solo per le peripezie esistenziali che a proposito della matematica ottocentesca, si può a buon diritto parlare o di epoca romantica della matematica o, tout court, di matematica romantica. E se l'espressione può apparire strana, è solo perché chi conosce la storia della matematica ignora quasi sempre il romanticismo (in musica, poesia, filosofia, storiografia, etnologia e glottologia). E, viceversa, gli storici del romanticismo sono quasi invariabilmente analfabeti matematici (se non aritmetici). Più in profondità, l'idea di una matematica romantica è scioccante perché i due termini ci sono stati offerti come contraddittori e incompatibili: la matematica come frutto di freddo intelletto astratto, pura calcolabilità; il romanticismo come sinonimo di sentimentalismo irrazionale e viscerale. Ma una tale accezione del romanticismo trascura il fatto che le grandi filosofie romantiche, e in particolare l'idealismo tedesco, furono filosofie razionaliste (l'hegeliana formula «il reale è razionale») che polemizzarono con l'illuminismo non perché era razionalista, ma perché non lo era abbastanza, perché - secondo i romantici - l'illuminismo aveva un'idea ristretta, meschina, «intellettualistica» della ragione umana.

In realtà, oltre alle parabole esistenziali dei geni che la formularono, c'è anche un altro senso, più intrinseco, in cui la matematica ottocentesca può essere definita romantica. Intanto i matematici dell'800 smantellarono il dispotismo che Euclide esercitava da 2000 anni, una dittatura così tirannica che nella Critica della ragion pura Immanuel Kant ritenne che lo spazio euclideo fosse la griglia insita nell'intelletto con cui gli umani percepiscono il mondo esterno. L'800 segna la fine dell'ancien régim euclideo e la nascita delle grandi geometrie non-euclidee. Cominciò appunto Poncelet, formulando una geometria in cui anche le rette parallele s'incontrano (all'infinito). Ma la spallata la dette Nikolai Ivanovic Lobachevski (1793-1836) dalla sperduta università di Kazan dove costruì la prima geometria completamente non euclidea (chiamata geometria di Lobacevski, appunto), tanto che fu chiamato «il Copernico della geometria», per dire che la sua rivoluzione fu paragonabile a quella copernicana. Ma la rivoluzione andò ancora oltre con la geometria di Riemann, nel cui mondo abbiamo scoperto di vivere, visto che la relatività di Einstein descrive il nostro universo come una superfìcie riemaniana di quattro dimensioni (tre spaziali e una temporale).

La seconda spallata al vecchio mondo della matematica tradizionale la dette l'irruzione dell'analisi complessa, cioè lo studio delle funzioni complesse di numeri complessi: i numeri complessi sono quellli scritti nella forma a+ ib, dove a e b sono numeri normali (reali), ma il coefficiente i indica la radice quadrata di -1, un numero che nella matematica «normale» non ha senso, tanto che i matematici cinquecenteschi che per primi incapparono in questa strana entità, chiamarono i «l'unità immaginaria». Noti e studiati da tempo, i numeri complessi furono posti al centro dell'attenzione, e sistematicamente indagati dal «re dei matematici», Carl Friedrich Gauss che, forzando un po' il paragone, occupa rispetto alla matematica romantica il posto che Johan Wolfgang Goethe (1749-1832) ebbe rispetto al romanticismo tedesco. Dopo Gauss, il grandissimo - e bigottissimo - barone Augustin Cauchy (1789-1857) costruì la «basilica» dell'analisi complessa. (È raro, con la notevole eccezione di Blaise Pascal, che i matematici abbiano posizioni religiose così estreme: ma sotto questo aspetto, e per le sue posizioni politiche, Cauchy può essere inserito nel filone reazionario, quello della Santa Alleanza e della Restaurazione).

Ma vi è un terzo aspetto che caratterizza la matematica ottocentesca ed è la l'ossessiva, instancabile ricerca del rigore assoluto che, rispetto alla matematica settecentesca, introduce una dimensione nuova, quasi di ansia metafisica, che culminerà con Cantor, cultore appassionato di filosofia medievale. Fino all'800 le dimostrazioni dei teoremi matematici erano assai approssimative, basate essenzialmente sul buon senso, su un sano realismo. Vigeva l'idea che la matematica non fosse altro che il linguaggio dell'universo, linguaggio che gli uomini dovevano scoprire e decifrare, e che quindi le proprietà matematiche dovessero verificare un principio di realtà, non essere assurde, ma «ragionevoli». Quest'idea di buon senso, di ragionevolezza che era alla base dell'illuminismo (sia quello francese che quello scozzese) permeava tutti i grandi matematici del `700 dai Bernulli agli Eulero. Ma una volta che, con i numeri complessi e con le geometrie non euclidee, la matematica non è più reale, ma è creata dalla ragione umana, allora non può essere più basata su un principio di realtà, ma deve essere fondata su una propria coerenza interna. E Abel fu uno dei primi a mettere in campo il rigore in quella che fino ad allora era stata una «cucina».

È questa ricerca del sacro Graal del rigore assoluto che porterà nell'800 prima alla teoria degli invarianti e dei gruppi (Sylvester, Carlyle, Lee) e poi alla grande cattedrale della fondazione astratta e assiomatica della matematica, la teoria degli insiemi di Cantor. Questa ricerca di rigore trovò il suo culmine nel programma hilbertiano: David Hilbert (1862-1943) proponeva di dotare la matematica di un sistema di assiomi che si auto-dimostrasse. Il programma hilbertiano fu sbaragliato da Kurt Gödel (1906-9178) che con due celeberrimi teoremi (1931) rese vana la ricerca di una non-contraddittorietà dell'edificio matematico.

Nel 1931 l'epoca eroica della matematica romantica era finita per sempre. Ma nel frattempo aveva rivoluzionato le categorie dell'uomo, aveva mandato in soffitta venerabili convinzioni. Per misurarne la portata basta paragonare quello che era la matematica a fine `700 con quella che sarebbe stata all'inizio del `900. A fine `700, dopo i trionfi di Cartesio, Leibniz ed Eulero, la vecchia analisi matematica aveva esaurito la sua «spinta propulsiva», tanto che forse il più grande matematico del '700, Joseph-Louis Lagrange (1736-1813) riteneva che il filone fosse ormai esaurito e che la matematica avesse fatto il suo tempo, o che per lo meno si avviasse a una fase di decadenza. Tanto che, a parer suo, le cattedre di matematica sarebbero scese al livello di quelle di lingua araba. E invece il secolo successivo si sarebbe rivelato il più grande, il più magnifico, e il più entusiasmante di tutta la storia della matematica. Certo è che se a Lagrange a Eulero gli avessimo raccontato delle geometrie non euclidee e della teoria degli insiemi, ci avrebbero presi per pazzi, o per lo meno per loro sarebbe stato arabo.

E oggi, 70 anni dopo i teoremi di Gödel, la matematica continua a pullulare di invenzioni, creazioni, scoperte. Ma è venuto meno l'afflato che nell'800 ne ha permesso lo splendido rigoglio: è al culmine di quella sontuosa fioritura che la matematica entrò di forza nella filosofia e nella discussione generale, con Bernard Russell, Ernst Cassirer, Ludwig Wittgenstein. Oggi il riflusso della matematica si può cogliere anche in quest'aspetto: che il suo pensiero non fa più parte del dibattito generale. Sono stati davvero lunghi i duecento anni trascorsi dalla nascita di Niels Henrik Abel.

Marco D'Eramo

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …