Gianni Riotta: I ragazzi del caffè Kramer Books

18 Gennaio 2003
Al caffè Kramer Books, scaffali di libri, bicchieri di Merlot e un proprietario che si interroga: "Peggio Bush o Berlusconi?", la capitale si divide: "Nude? No, per favore". "Dai, ma a Marin County, in California, cinquanta donne si son spogliate e hanno formato con i corpi la scritta "pace": le tv sono impazzite". "Sì, ma qui dobbiamo attrarre alla manifestazione di sabato contro la guerra in Iraq anche i benpensanti, le persone tranquille, i cattolici. E andiamo in giro nude?". "Per non dire che farà 5 sotto zero e non mi pare una grande idea" conclude la più saggia delle ragazze pacifiste. Per oggi è stata convocata a Washington una marcia contro la guerra in Iraq, in contemporanea con la manifestazione pacifista di San Fra ncisco. Al caffè Kramer e nelle piazze l'America che dice no alla guerra Marcia pacifista oggi a Washington, in contemporanea con altre città "I nostri non sono militanti duri. Scendere in strada li preoccupa" Gli organizzatori di MoveOn.org sperano in treni, pullman e aerei con almeno centomila dimostranti. Il capo della polizia Charles Ramsey, che usa un manganello come bastone da passeggio, ha chiesto tolleranza zero ai suoi uomini "Se rompono trattateli come quelli del 27 settembre", quando centinaia di no-global vennero arrestati e trattenuti in cella per dodici ore. Non ci sarà il corteo nudista, l'aria rigida della capitale infagotterà i dimostranti in giacche a vento North Face e sciarpe peruviane. Ma per il movimento contro la guerra sarà la prima, seria prova: riuscirà a diventare protagonista nell' America di George W. Bush o resterà un colorato nastro senza influenza? "Parliamoci chiaro - spiega paziente Eli Pariser, direttore di MoveOn.org - i nostri non sono dei militan ti duri. Fanno politica per la prima volta nella loro vita. Andare per strada li preoccupa. Molti preferiscono mandare un assegno". Ne hanno mandati parecchi, per più di 400 mila dollari (circa 400 mila euro). E Pariser ha organizzato la sua marcia sui media del potere e dell'alternativa, televisione e Internet. Su www.moveon.org, fondato da due informatici di Silicon Valley, un click vi porta nella rassegna stampa dei pacifisti, vi collega con i compagni e le compagne di idee sulla Costa Pacif ica, spiega che oggi marceranno anche in Russia, in Giappone, in Italia. In tv i contestatori ripescano un vecchio e straordinario messaggio del 1964. Erano i tempi del democratico Lyndon Johnson contro il repubblicano Barry Goldwater. I democratici mandarono in onda il dolce primo piano di una bambina che sfoglia la margherita, sì, no, sì no, in palio non è l'amore ma il fungo nucleare che avrebbe minacciato gli Stati Uniti in caso di vittoria di Goldwater. Lo spot diventò un classico della ba ttaglia politica e garantì la vittoria dei democratici. Oggi riappare sui teleschermi delle tredici principali città (costo 185 mila dollari), per fermare la guerra preventiva "Lasciate lavorare gli ispettori. Se la guerra non finisce presto, armi nu cleari cadranno in mano ai terroristi". "Chi marcerà a Washington? Militanti, certo, ma con loro massaie dell'Arkansas e idraulici dell'Ohio. La tv e Internet ci permettono di raggiungere la gente normale, in casa" assicura Pariser. Il movimento na sce da solo. Nessun grande leader politico dei democratici parlerà dal palco, l'ex deputata nazionale Cynthia McKinney, il senatore dello Stato della California John Burton e l'oscuro candidato repubblicano della Florida Andy Martin, saranno quel che di più simile a un dirigente la marcia vedrà, accanto a ragazzine come quelle che discutono del nudismo, partendo dall'Università di Pennsylvania. "Non abbiamo uno slogan ufficiale" racconta lo studente Matt Grove "non abbiamo ideologie. Ognuno scriva un po' quel che vuole sul suo cartello". Sui muri compaiono le prime proposte "Antidoto alla Distruzione? Creazione!", "Sono un ebreo, pro Palestina e contro la guerra", "Abbiamo bombardato l'Afghanistan: qualcuno ha visto la democrazia?". La sfida del movimento deve coinvolgere l'America centrista, le chiese, le università, i sindacati. Le Unions mandarono spesso il loro servizio d'ordine, gli hard hats, operai con il casco in testa, a disperdere i dimostranti contro la guerra in Vietnam. Oggi sono cauti. Da Chicago arriva una colletta di 30 mila dollari a favore del movimento. E un gruppo di uomini d'affari repubblicani compra una pagina sul quotidiano finanziario Wall Street Journal "Parliamoci chiaro. Noi abbiamo sostenuto la guerra in Afghanistan. Siamo per la guerra giusta. Ma, signor presidente, la guerra in Iraq non è giusta". A sostenere i moderati repubblicani una generosa donazione del gelataio Ben Cohen, famoso per condire la sua vaniglia solo con noci delle coope rative indios della foresta amazzonica. Il terrore dei ragazzi e delle signore che stanno per arrivare tra i monumenti di Washington, per marciare simbolicamente fino a una base della Marina, è di venire dipinti come traditori della patria. "Siamo noi i veri patrioti, siamo d'accordo che Saddam Hussein non disponga di un arsenale nucleare: ma la guerra preventiva danneggia gli interessi americani" annunciano i patrioti liberal di "Vincere senza guerra". Niente dunque suffragette come la morbida attrice Jane Fonda che volava ad Hanoi a farsi fotografare a una batteria contraerea mirando ai jet Usa. Anne Wadsworth, energica laureanda di "Penn for Peace", non ha dubbi "Patriottismo significa sognare che il proprio Paese sia sempre dalla parte giusta, non tra gli oppressori". La Conferenza episcopale cattolica ha redatto un documento contrario alla guerra preventiva, ma non ci saranno pullman organizzati dalle parrocchie con la sola eccezione della vecchia Detroit industriale, guidata dal vescovo ruggente Thomas Gumbleton. Lui ha fatto sapere che marcerà, non lontano dall' Associazione dei familiari delle vittime dell' 11 settembre contrarie alla guerra, capitanata da una Rockefeller. Per capire la sorte del movimento basta guardare davvero all' animo americano. Un sondaggio Knight Ridder calcola al 83% la percentuale che vuole la guerra solo dopo il consenso dell' Onu e degli alleati. Chi è per la guerra a tutti i costi non va oltre il 28%. Se i pacifisti non si faranno dirotta re dagli estremisti c'è il terreno per una crescita e un ruolo politico. Ma di notte Georgetown, il vivace villaggio al centro di Washington, è percorso dai duri di Answer, che a colpi di cucitrice inchiodano i loro volantini ai pali della luce. Li guida Ramsey Clark, ex ministro di Johnson diventato poi avvocato di Slobodan Milosevic e dello sceicco terrorista Omar Abdel Rahman, apologeta del massacro degli studenti cinesi a Tien An Men e sostenitore di ogni dittatore del Terzo Mondo. Answer vuole organizzare "scudi umani" da legare agli obiettivi militari iracheni, in solidarietà con Saddam. Suona male nell'America media che gli alleati di Clark, in Russia, siano gli stalinisti e i nazionalisti di Zhirinovsky che, in contemporanea con la marcia, sfileranno davanti all'ambasciata americana a Mosca. Robert Hinkley, un avvocato che guadagna un milione di dollari l' anno, si preoccupa "Dobbiamo restare moderati e tranquilli. Voglio accanto adolescenti e nonne. Se sembreremo poco patriottici la gente non ci seguirà. Purtroppo non abbiamo un leader, come ai tempi di Martin Luther King. Nessun politico ha avuto il fegato di guidarci, e i democratici che pensano alla Casa Bianca sono terrorizzati e stanno zitti". Il postino David Welsh concorda "La guerra costerà 300 miliardi di soldi. Spendiamoli per i poveri piuttosto". Dall' università afroamericana di Howard arriveranno con lo striscione "Bombe no, borse di studio sì". Il problema è che le "Nonne per la pace" si vedono nel tinello quando i nipotini lasciano un po' di requie, mentre gli attivisti radicali di International Action Center sono funzionari a tempo pieno. Dietro di loro un gruppo di estremisti che preoccupa il pacifista Stephen Zunes: "Non lanceranno uno sloga n contro Saddam e la gente dai marciapiedi storcerà il naso". "La verità - ribatte aspro Richard Becker di Answer - è che i sessantottini si sono imborghesiti. Appena dici che vuoi la Palestina libera se la fanno sotto". "Se il movimento pacifista sarà preso in ostaggio dai no-global, da quelli che pensano che l'imperialismo domina gli Stati Uniti e che noi abbiamo sempre torto, non andrà lontano" sostiene Michael Kazin, redattore della rivista storica della sinistra Dissent. Il linguista Noam Chomsky, padrino dei dimostranti, scrolla le spalle da un video preregistrato "Patriottismo per me vuol dire censura". Il gelo di Washington farà da setaccio per le speranze dei tantissimi ragazzi e ragazze che arrivano oggi per il battesimo della politica. Gli strilloni diffonderanno il settimanale The Nation, Bibbia della "Old Left". La guerra in Iraq ha già provocato il suo scisma, accompagnato da fiumi di (barbosissime) parole. Gli editorialisti Christopher Hitchens e David Corn chiedono ai pacifisti di denunciare i dittatori, da Saddam ai nordcoreani e sbattono la porta. I loro ex colleghi Alexander Cockburn e Katha Pollitt usano il frusto argomento: niente nemici a sinistra! Chi vincerà oggi? Al caffè Kramer Books arriva anche E.J. Dionne, il più intelligente commentatore del quotidiano Washington Post: si gode l'eccitazione del momento e osserva "Il movimento pacifista è a una svolta. Gli Stati Uniti non hanno troppo stomaco per la guerra, e quindi c'è spazio per crescere, a patto però di restare accettabili dalla maggioranza dei cittadini". Dipende se le tv e i siti Internet proporranno i volti all'acqua e sapone delle ragazzine arrivate da Penn State o le maschere cupe dei pro Saddam. Oggi in diretta mondiale. Gianni Riotta gianni.riotta@rcsnewyork.com Cinquant' anni di arte pacifista in mostra. Una galleria di Los Angeles ha messo in mostra le opere pacifiste di artisti americani, dall' intervento in Corea al possibile conflitto contro l' Iraq. La Track 16 Gallery presenta 150 tra poster e quadri creati negli ultimi cinquant'anni.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …