Gianni Riotta: Anime inquiete a Washington

12 Maggio 2003
"Al Dipartimento di Stato vedo un sacco di gente senza cojones . Al ministero della Difesa mi sembra che sia la sola cosa di cui dispongano: al posto del cervello purtroppo". Lettrici e lettori perdonino al presidente John Fitzgerald Kennedy, ex ufficiale di Marina, la salace battuta, che anticipo dalla magnifica biografia di JFK scritta dallo storico Robert Dallek, in libreria fra un mese. La disputa arriva a oggi: per gli uomini del ministero della Difesa di Donald Rumsfeld e del vicepresidente Dick Cheney, i colleghi degli Esteri sono imbelli. Per i diplomatici del segretario Colin Powell, alla Difesa ci sono "cowboy di destra". Già alla fine del ’700, Thomas Jefferson, segretario di Stato filofrancese, era multilaterale come Powell, mentre Alexander Hamilton, filobritannico ministro del Tesoro, credeva, come Rumsfeld, solo agli "interessi nazionali". E’ possibile che il presidente George W. Bush usi le opposte filosofie dei suoi collaboratori come i detective dei film, quando alternano negli interrogatori il duro al compassionevole, per fiaccare la resistenza dell’accusato. Il tosto Rumsfeld minaccia la Siria, poi arriva il felpato Powell. I palestinesi vedono i carri armati Usa a Bagdad, poi Powell vola dal neopremier Abu Mazen. Rumsfeld insulta "la vecchia Europa", Powell invita a cena a New York il suo omologo europeo Javier Solana, e davanti agli abiti da sera della Foreign Policy Association e a un piatto di salmone marinato alla soia, dichiara "Ricostruiamo insieme l’Iraq". Perfino il premier israeliano Ariel Sharon teme di finire nella tenaglia Rumsfeld-Powell.
E’ però possibile, invece, che il duello induca paralisi. E’ quel che accade in Iraq, dove l’inane generale Jay Garner, vicino al Pentagono, è richiamato in gran fretta, sostituito da Paul Bremer, detto "Jerry", vicino a Powell. Con il risultato di perdere tempo e di far svaporare gli entusiasmi seguiti alla caduta di Saddam. La Casa Bianca deve capire che, in Europa, chi avversa il dialogo atlantico, approfitta dei contrasti in politica estera Usa per seminare zizzania, e chi vuole riavvicinare Stati Uniti e Unione finisce spiazzato. I giapponesi e il presidente sudcoreano Roh Moo Hyun non sanno ancora se Washington sarà dura o negoziale con la Corea del Nord e quella crisi si aggrava.
Da oggi l’Onu discuterà della fine delle sanzioni all’Iraq, che gli Usa rivendicano per riaprire l’economia del Paese. Francia, Germania e Russia non faranno ostruzionismo, ma chiedono garanzie per le Nazioni Unite e niente pressing contro le aziende europee. Che la Halliburton, ditta esclusa dagli appalti in Iraq per flagrante conflitto di interessi del suo ex dirigente Cheney, sia tornata in ballo solleva diffidenze. Con sincerità, il senatore repubblicano Richard Lugar riconosce che gli Stati Uniti resteranno in Iraq almeno per cinque anni. Difficile che possano sopportare i costi, materiali, morali e politici della titanica impresa, senza collaborazione vera con la pur cigolante burocrazia Onu e i pur riottosi alleati europei.
Sarebbe dunque bene che Bush ascoltasse i suoi due ministri alla Casa Bianca, sintetizzandone poi cervello e testosterone, e cancellando la battuta "In America ci sono due partiti, ministero degli Esteri contro ministero della Difesa". Impazza ovunque lo slogan dello studioso Robert Kagan: "Gli americani vengono da Marte, gli europei (e Powell...) da Venere". Peccato che nella mitologia antica la dea più efficace fosse sempre Atena, capace di usare forza e ragione. E’ di Atena, di saggezza militante, che il pianeta ha bisogno, non di cojones e di chiacchiere.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …