Gianni Riotta: L'Europa di Kerry

11 Febbraio 2004
Se gli europei potessero votare alle presidenziali americane di novembre, per il senatore democratico John Kerry la vittoria sarebbe assicurata contro il presidente repubblicano uscente, George W. Bush. Kerry, che martedì notte ha trionfato in 5 primarie su 7 e si avvia di buon passo alla «nomination», piace all' opinione pubblica. Piace ai commentatori e ai leader politici dell' Unione Europea. Un importante uomo d' affari dice: «Speriamo che Bush perda» e il suo umore è condiviso da molti imprenditori, tradizionalmente conservatori ma irritati dall' unilateralismo della Casa Bianca. E' davvero scontato che se Kerry, cresciuto in Svizzera, arrivasse alla presidenza i problemi tra Stati Uniti e Unione Europea, sorti alla vigilia della guerra in Iraq, scomparirebbero d' incanto, riaprendo le romantiche stagioni di John Kennedy e Bill Clinton? No: e crederlo assicura un brusco risveglio il 3 novembre. Certo, John Kerry e John Edwards, il più vicino dei rivali democratici, annunciano nei comizi di volere riavvicinarsi «subito» agli alleati smarriti da Bush e dagli ispidi ministri Rumsfeld e Ashcroft e che a sessant' anni anni dallo sbarco in Normandia i rapporti Usa-Ue siano argomento di battaglia elettorale vi dice quanto profonda è la frattura. La crisi atlantica non è però frutto di galateo infranto o di stili e umori diversi, il texano cowboy Bush contro l' aplomb aristocratico del presidente Chirac e del suo ministro Galozeau de Villepin. Scaturisce da interessi materiali divergenti, da una opposta lettura della situazione mondiale e questi aculei resteranno, anche con il kennedyano Kerry presidente. Né Kerry né Edwards pensano a ritirarsi dall' Iraq nel 2005. Sono cauti, per non alienare il voto dei pacifisti, ma le loro intenzioni strategiche sono chiarite da un discorso dell' uomo che è assurto a patriarca dei democratici, Bill Clinton. In un magistrale intervento del 12 gennaio, al Forum America-Islam di Doha (disponibile al sito www.us-islamicworldforum.org) Clinton ha chiarito che il dilemma non è più «guerra o no?», è creare «un governo democratico in un Iraq, libero, stabile, indipendente... prospero e ostile ai terroristi... e lo stesso vale per l' Afghanistan». Anche se tornassero i giorni «dell' Ulivo mondiale» gli europei dovranno quindi dare una mano a Bagdad e a Kabul, dove malgrado l' impegno comune e l' egida Onu, l' Ue ancora non mobilita gli elicotteri e le truppe d' èlite promesse al segretario Nato Jaap de Hoop Scheffer. E il piano di difesa europeo Esdp dovrà essere coordinato con la Nato «globale», chiunque sia l' inquilino al 1600 di Pennsylavia Avenue, la Casa Bianca. Le dispute «teologiche» che hanno diviso Usa ed Europa non saranno sanate per bolla papale da Kerry. Come rileva lo storico Walter Russell Mead (il suo formidabile "Il serpente e la colomba" è tradotto da Garzanti) il Senato americano a novembre non avrà comunque la maggioranza per dire sì ai protocolli di Kyoto, al Tribunale penale internazionale, al Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari. Si dovranno calibrare buona volontà, pragmatismo, spirito di intesa. Solo gli inglesi riducono i gas nocivi come prescritto da Kyoto, gli altri, Italia in testa, no: si può negoziare un Kyoto II che includa Usa e Russia e sia praticato in Europa? Lo stress tra Usa e Ue ha radici nell' 11 settembre, gli americani che si sentono minacciati dallo status quo, gli europei dalla sua rottura, ma anche da interessi materiali, sui commerci, tariffe, Cina, dollaro debole, euro forte. L'amministrazione Bush ha esacerbato i contrasti, ma quando a maggio l' Unione arriverà a 25 membri, con 74 milioni di nuovi cittadini spesso «filoamericani» sarà davvero una «New Europe», che crescendo al ritmo anemico dell' 1% l' anno avrà difficoltà con i partner atlantici. Nel mondo del dopo Saddam sembra funzionare bene la cocciuta diplomazia del dialogo, all' ombra, educatamente non evocata, dei carri armati a Bagdad. Gli angloamericani hanno così persuaso la Libia al disarmo e gli europei hanno avuto analoga influenza sull' Iran. Quali frutti darebbero i futuri negoziati se Usa e Unione sedessero dalla stessa parte del tavolo, in Medio Oriente, in Nord Corea, in Africa e nel trovare un accordo con i ribelli del G24, guidati dal Brasile, su commercio e sussidi all' agricoltura? Il potere benefico del blocco delle democrazie sarebbe straordinario, a patto di prepararlo con serietà, a Washington e Bruxelles. Domani il segretario di stato americano Colin Powell e il ministro francese Dominique de Villepin faranno colazione insieme a New York, in una prima occasione di disgelo. E a giugno, sulle spiagge di Normandia, sarebbe bello che il sessantesimo anniversario del D-Day ricordasse a tutti la crociata che sconfisse il buio nazista e gli ideali di giustizia e libertà che la ispirarono. Non si tratta di commozioni da veterani, è l' agenda realistica per un mondo non fratto dalla guerra globale.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …