Gianni Riotta:L' America risponde alla sfida col pugno di ferro e molti dubbi

15 Aprile 2004
Nella città sacra di Falluja missili contro la moschea Abdul Aziz Al Samarra, a Najaf i marines braccano l' ayatollah ribelle Moqtada Al Sadr. Dodici marines morti a Ramadi, che secondo il generale Mark Kimmit "è ora controllata dalla coalizione". A Kirkuk, a nord, sparatorie nelle strade. A Nassiriya fuoco sui bersaglieri che tengono la posizione. A Karbala i militari bulgari chiedono rinforzi, bersagliati dalla milizia sciita Mahdi. A Kut gli ucraini ripiegano. A Bagdad mine e scambi di fucileria. Da Falluja la rete tv araba Al Jazira manda in onda le scene di disperazione negli ospedali, si parla di oltre sessanta civili morti. Le truppe alleate vedono due fronti aprirsi nella Settimana Santa: i sunniti legati all' esercito di Saddam Hussein e al partito Baath attaccano nel triangolo Bagdad-Tikrit-Falluja a ovest della capitale. Al centro e al sud, la rivolta degli sciiti radicali, innescata da Al Sadr, rompe con l' attendismo del Grande Ayatollah Ali Al Sistani e si impegna in un sanguinoso stillicidio. Sulla testa di Al Sadr pende un mandato di cattura, ma già membri del Consiglio di governo trattano sotto banco: il mandato sarà stracciato se cessa la rivolta. Dal suo ranch di Crawford in Texas, il presidente americano George W. Bush valuta in una lunga teleconferenza la situazione, parlando con il generale John Abizaid, che ha chiesto lunedì più truppe per sedare l' insurrezione, con la consigliere per la Sicurezza nazionale Condoleezza Rice, attesa oggi dalla difficile deposizione davanti alla Commissione d' inchiesta sull' 11 settembre, e con il fedele alleato inglese, Tony Blair. Martedì analoga seduta con il ministro della Difesa Rumsfeld, con il capo di stato maggiore Myers e il capo di gabinetto Card. Oggetto della telediscussione come reagire alla rivolta, tenendo l' occhio al fronte interno, i democratici che fanno campagna elettorale con i senatori decani Ted Kennedy e Robert Byrd a evocare la "Sindrome Vietnam: non abbiamo via d' uscita". Moqtada Al Sadr, abile, echeggia macabro: "Sì, l' Iraq sarà un altro Vietnam". Il generale Abizaid propone di stroncare la mobilitazione sciita e riprendere il controllo di Falluja, accerchiata dopo la mattanza delle quattro guardie del corpo americane. La sfida, sincronica ma non alleata, di sciiti e sunniti, fa da test alla volontà della Casa Bianca: regge il carico dei morti, oltre 600? Regge le sevizie in diretta? Regge l' offensiva dei democratici? Regge il nervosismo tra gli alleati e la difficoltà di reclutarne di nuovi, mentre l' Onu non ha fretta di tornare a Bagdad? Se Abizaid si muove con il pugno di ferro, non fermandosi quando i ribelli si nascondono tra i civili, non dirottando gli elicotteri quando uomini armati si rifugiano nelle moschee, la guerra d' attrito può diventare di massa e la popolazione, già provata, abbandonare ogni residua simpatia per gli americani. Non replicare al fuoco, militarmente sarebbe però letto come la resa e ci sarebbero cento, mille Falluja. La proposta di Abizaid è perciò un' offensiva mirata a decapitare la violenza sciita, stoppare i gerarchi sunniti e persuadere la gente comune che la sola strada percorribile è la pacificazione. Piano di difficile esecuzione, con i ribelli a contare su una strage e vittime innocenti per guadagnare popolarità. Bush voleva arrivare allo scambio di poteri tra alleati e iracheni il 30 di giugno, magari coperto da una nuova risoluzione dell' Onu, per concentrarsi sulla campagna di novembre. Ora la data diventa una foglia di fico e il terzo fronte, quello interno, si rivela irto di trappole. Il senatore repubblicano Chuck Hagel, il più rispettato membro della Commissione esteri, commenta amaro: "Siamo sul punto di perdere il controllo di parte dell' Iraq. La situazione è complicata e pericolosa, i progressi fatti finora possono dissolversi. Se il generale Abizaid vuole più truppe devono arrivare subito". Lo sfidante di Bush, il senatore democratico John Kerry, va giù duro: "Passare le consegne il 30? E a chi? E dove sono i fiori e le feste che prometteva il vicepresidente Cheney?". Kerry sa di avere adesso il ruolo più semplice, denunciare l' impasse e sperare che diventi voto di sfiducia a Bush. I suoi collaboratori, però, riflettono sul futuro. Esclamare a un comizio "Torni l' Onu!" è ragionevole, ma l' Onu è sotto inchiesta per lo scandalo "Oil for food", mazzette su oltre 10 miliardi di fondi in Iraq (ieri il New York Times ha, per la prima volta, denunciato la vicenda) e per la leggerezza con cui ha valutato la sicurezza prima dell' attentato di agosto a Bagdad. Tra gli alleati i soli disponibili a mandare truppe sono i turchi, diecimila militari, ma sollevando le ire dei curdi al confine. Né i ribelli di Falluja, né la milizia Mahdi di Moqtada Al Sadr hanno la forza dei Vietminh, o dei Vietcong, e manca alle loro retrovie il rifornimento da Russia e Cina. I raid non mirano a conquistare territorio o a reinsediare Saddam, sono blitz per raccattare consensi dal caos. Non è una strategia che può vincere, è l' assenza di strategia degli alleati che può perdere. Se volete guardare al Vietnam, non pensate al 1968, all' offensiva del Tet, ma tornate indietro di mezzo secolo, al marzo del 1954, quando il generale francese Henri Navarre decise di fare guerra tradizionale al generale Giap e asserragliò la Legione Straniera e i paracadutisti in campi fortificati dai nomi vezzosi, Isabelle, Huguette, Eliane e Natacha. La strategia da manuale non mise in conto la mobilità di Giap, che dislocò a forza di spalle decine di mortai, e le ondate suicide di vietnamiti che, a centinaia, caddero, sfiancando gli assediati. Huguette e Eliane finirono sui libri di storia con il nome della battaglia che costò l' Indocina alla Francia, Dien Bien Phu. La strategia militare americana dovrebbe essere opposta, mobile e duttile, capace di seguire la pragmatica direzione politica. Ma la direzione politica, in questa Settimana di Passione colorata di sangue vero e non posticcio come nel film di Mel Gibson, dov' è?

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …