Gianni Riotta: L'America di John Kerry si ritrova a Boston

26 Luglio 2004
La Convenzione del Partito democratico americano, riunita da oggi a Boston per nominare il senatore John Kerry a sfidante del presidente George W. Bush, non si estenuerà in 104 scrutini ad oltranza, come i delegati del 1924, né conoscerà riunioni di mezzanotte affollate da ubriachi, come i repubblicani che nel 1860 selezionarono il futuro padre della patria Lincoln. Le convenzioni moderne sono reality show per una distratta tv, con l'obiettivo di presentare il candidato al Paese. Il John Kerry che conosceremo sa che gli Stati Uniti sono divisi a metà dall'astio politico: 45 per cento con lui, 47 con Bush, incerta una pattuglia del 5%. Sa di arrivare alle presidenziali da progressista, nessun senatore, neppure il vecchio leone liberal Ted Kennedy, ha per anni votato a sinistra con la sua costanza. La base militante democratica, che detesta Bush con animosità, si raccoglierà compatta attorno a Kerry, stanca della vischiosa situazione economica.
Per vincere, però, John Kerry deve risultare credibile anche sulla guerra al terrorismo e la difficile campagna in Iraq. Il prestigio da comandante in capo di Bush è scosso, e Kerry deve dimostrare di poterne ereditare il bastone. La Commissione sulle stragi dell'11 settembre 2001 chiude i lavori prevedendo: un attacco catastrofico contro l'America è "possibile, se non probabile", "la guerra al terrorismo si vince solo combattendo la battaglia delle idee" e isolando i fondamentalisti grazie a nuove opportunità aperte nei Paesi poveri.
Kerry, figlio di un diplomatico, liceale in Europa, veterano del Vietnam, conosce il mondo. Il suo approccio alla politica internazionale è cauto, i critici lo accusano di mutare troppo spesso opinioni, lui preferisce definirsi "pragmatico". In Europa niente unisce l'opinione pubblica come la speranza, palese o malcelata, che Kerry vinca, non solo per rimandare Bush al torrido ranch texano, ma nella persuasione che, con i democratici alla Casa Bianca, la tempesta che dal 2002 squassa l'Atlantico si quieterà in bonaccia. È un'analisi sbagliata. Certo, Kerry azzittirebbe i toni unilaterali più sguaiati e la propaganda dei neoconservatori, ma l'intesa Usa-Unione Europea, dall'Iraq, all'Afghanistan, ai commerci, alla Nato e ai rapporti con Russia e Cina, ha bisogno comunque di una paziente sutura, punto per punto.
Se eletto, Kerry offrirà un clima di collaborazione ma chiederà impegno diplomatico e militare. Gli avversari di Bush, Chirac, Schröder e Zapatero, non potranno più limitarsi a dire di no. Per far fruttare il dialogo, dovranno confrontarsi sulle proposte, negoziare, cooperare. In tutta la sua vita, dai cortei pacifisti al Senato, Kerry ha costruito una personalità più capace di maturare con gli eventi che non di imporsi a forza alla realtà. In coppia con il vicepresidente John Edwards, può riaprire il dibattito, ma per far progressi nella difficile agenda del presente, avrà bisogno di un'Europa nuova, unita, capace di manovrare, dall'accordo sui dazi al peacekeeping in Sudan.
Questo chiederà il presidente John Kerry, già lo scrive la ponderosa piattaforma del partito che sarà votata a Boston. Vedremo quanti dei suoi tifosi di oggi gli daranno in concreto una mano. "La battaglia delle idee" per radicare la democrazia e i diritti, e sconfiggere il terrorismo, non può essere combattuta, e vinta, solo dagli Stati Uniti. Kerry saprà probabilmente ascoltare più di Bush, ma gli europei dovranno fare la loro parte. Se daranno a Kerry chiacchiere eleganti, non ci intenderemo più su nulla, né guerra né pace, e la tempesta sull'Atlantico annuncerà rovesci sul pianeta intero.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …