Giovanni Mariotti: Elogio del messaggino di auguri, argine all’inciviltà

03 Gennaio 2005
Oltre mezzo miliardo: questo, a quanto ci viene detto, il numero di "messaggini" che gli italiani si sono scambiati sotto Natale; e altrettanti sarebbero stati scambiati a Capodanno, nelle ore prima e dopo la mezzanotte. Difficile considerare un fenomeno di tali dimensioni come una somma di rapporti tra singoli. Piuttosto viene da pensare a una società che, davanti a uno specchio, faccia gli auguri a se stessa. Una società, e in modo particolare una generazione, giacché è risaputo che l’invio incontinente di "messaggini" è una caratteristica soprattutto giovanile. Vedo che alcuni siti Internet forniscono ai meno inventivi suggerimenti sui testi da inviare. In qualche caso si tratta di modestissime variazioni delle formule di augurio tradizionali ("Buon Capodanno e tanti auguri di cuore per un 2005 felice e sereno"); in altri, di effusioni romantiche ("Vorrei essere con te in un posto qualunque con la neve che scende dolcemente, con dolci melodie natalizie, e starti vicina stretta stretta accanto a un caminetto in un salotto di velluti vestita di rosso e tutta per te Con amore, Ely"); in altri ancora, di frasi umoristiche con allusioni sessuali ("Scriviti Buon Natale su una gamba e Buon Anno sull’altra che ti vengo a trovare in mezzo alle Feste!"). Così, con inchini compiti, carezze, sdolcinatezze, smorfie e sogghigni, la tribù disseminata e itinerante della telefonia mobile rumina tra sé e sé - o, se vogliamo, parla alla sua immagine nello specchio. Da sempre, in certe ricorrenze, e specialmente in quelle che chiudono un ciclo e ne aprono un altro, gli uomini sono soliti scambiarsi auguri; ma, a giudicare dai numeri, si direbbe che, con l’invenzione del telefonino, questa pratica abbia raggiunto il suo culmine parossistico. Un tempo era necessario acquistare cartoline e francobolli e sedersi a un tavolo forniti di penna, poi uscire e infilare la cartolina in una buca delle lettere. Ecco una serie di gesti che ormai ci appaiono primitivi, nella loro laboriosità e complicazione. Chi formula una frase augurale sulla tastiera del telefonino lo fa in piedi - e, se anche è seduto, è come se fosse psicologicamente in piedi o, addirittura, in movimento. Poi basta che prema il tasto destinato all’invio e l’augurio parte - anzi, si può dire che sia già a destinazione. È l’augurio facilitato - e la facilitazione non si ferma qui, giacché, con apposite iniziative, le aziende spesso fanno diventare l’operazione gratuita o semigratuita. Tutto questo svela e in certo modo consacra il vero carattere dell’augurio: quello di essere, per quanto riguarda il contenuto, una comunicazione del tutto irrilevante. Nessuno, su questo Pianeta rissoso e perdipiù tragicamente ballerino, ha mai immaginato che il calore e l’abbondanza degli auguri esercitassero un’influenza qualsiasi sull’effettivo svolgimento dell’Anno Nuovo o di qualsiasi altro ciclo. Due versi di Eluard spiegano come meglio non si potrebbe che cosa siano per noi gli auguri: "des mots pris comme il sont dits / et nul n’y perd et nul n’y gagne" ("parole prese come sono dette / e nessuno ci perde e nessuno ci guadagna"). Tutto questo non è mai apparso evidente come da quando esistono i telefonini: si scrive più per un impulso fisiologico che in seguito a una riflessione; si usano un’ortografia e una sintassi trascurate, con la coscienza che abbastanza presto, cioè non appena la memoria della macchina sarà satura, le parole verranno cancellate e di loro non resterà traccia. Il "messaggino" non è fatto di parole che la vita si lascia dietro, ma è in certo modo la vita stessa - un attimo di vita da bruciare come infiniti altri. Novità che configura un rapporto nuovo con la scrittura, diventata improvvisamente irrilevante - come da sempre, per propria natura, lo è l’augurio. Ma perché allora si scrive tanto e si inviano tanti auguri, pur sapendo che si tratta di comunicazioni vuote e prive d’importanza? Ogni "messaggino" e ogni augurio hanno le loro ragioni specifiche, ma presi tutti insieme manifestano il sogno degli uomini di vivere in una società "civile". Cioè in una società caratterizzata da una rete fittissima di blande amicizie - o, se si preferisce, di blande assenze di inimicizia. Non che si voglia negare il fascino dei rapporti intensi; anzi le persone migliori nutrono per essi una notevole avidità. Ma l’intensità e il fervore hanno le loro trappole, com’è dimostrato, per esempio, dalla storia delle religioni: spesso ne scaturiscono azioni violente e persino criminose. Nella sua vastità, il mondo degli auguri riflette un universo plasmato da relazioni deboli e senza conseguenze, come quelle che si stabiliscono durante un drink o una cena in piedi. È bello e simpatico intrattenere un’abbondanza di rapporti che, senza gravare, comportino il sorriso, il cenno della testa, il convenevole, la richiesta non insistente di informazioni sulla salute e sull’andamento degli affari, lo scambio di opinioni sul clima o su un libro. E se proprio le relazioni deboli e senza conseguenza, insomma le "buone maniere", intendendo il termine in modo certo più spontaneo e meno prescrittivo di come lo intende il Galateo, fossero l’argine più resistente che possiamo opporre all’imbarbarimento? Mi piacciono i "messaggini" - li preferisco ai Messaggi - e ho una simpatia di principio per quella vasta "ciàcola" cui, avvalendosi di tecnologie a me poco familiari, i nostri giovani sembrano partecipare con tanto slancio. Il pensiero delle centinaia di migliaia di messaggi augurali che hanno viaggiato nell’etere in queste feste è come una pelliccia calda e crepitante di elettricità, dentro cui mi avvolgo volentieri.

Giovanni Mariotti

Giovanni Mariotti, versiliese collabora al Corriere della Sera.