Gianni Riotta: Norimberga a Bagdad

03 Marzo 2005
Il codice giuridico di Hammurabi, 282 leggi civili e penali sancite nel tempio di Marduk a Babilonia, risale al 1792 avanti Cristo. Il Tribunale speciale iracheno, che la prossima estate metterà alla sbarra Saddam Hussein per crimini contro l’umanità, ha dunque alle spalle una tradizione remotissima. Eppure il Tribunale è a rischio, stretto tra la violenza dei ribelli e l’indifferenza del mondo. A Bagdad è stato ucciso il giudice Barwiz Mahmoud al Merwani, insieme al figlio Aryan, procuratore legale. L’attentato segue i primi rinvii a giudizio di gerarchi del Baath e lascia intuire che i terroristi, sconfitti nel giorno delle elezioni, vogliono ora impedire che le colpe di Saddam Hussein vengano discusse in pubblico. L’avvocato di Saddam, Issam Ghazzawi, ha già pronta la linea di difesa "La corte è un fantoccio, il diritto quello degli invasori". Ma a giudicare il dittatore saranno solo iracheni, gli americani e gli inglesi si sono limitati a raccogliere in 22 scatoloni le prove sulle 300.000 vittime del regime, dai 100 mila curdi sterminati nella campagna Anfal, ai cinquemila gassati di Halabja, allo sterminio dei soldati iraniani con armi chimiche. Ogni tentativo di confrontare con il diritto penale crimini di guerra internazionali è controverso, da quando i dirigenti nazisti furono condannati dalla Corte di Norimberga. Allora Stalin voleva limitarsi a fucilarli, Churchill pensava alla guerra fredda ma gli americani, con il giudice della Corte Suprema Jackson e il ministro Stimson, imposero il processo. Si rivelò un gesto decisivo per rifondare il diritto internazionale e preconizzare gli accordi sui diritti umani.
Può il Tribunale speciale iracheno godere della stessa credibilità di Norimberga, senza le lungaggini burocratiche del Tribunale sui crimini nell’ex Jugoslavia e le contraddizioni della Corte internazionale per il genocidio in Ruanda, dove i tribunali Onu offrono ampie garanzie a tutti gli imputati e le corti ruandesi giustiziano invece perfino i pesci piccoli? Gli Stati Uniti non hanno firmato gli accordi per la Corte penale internazionale, che potrebbe dare legittimità ai processi in Iraq, ma hanno avuto cura di recepire l’articolo 17 dello Statuto siglato a Roma: i crimini di guerra vanno, ove possibile, giudicati da tribunali locali, concedendo ampia voce alle vittime.
I ribelli moltiplicheranno i blitz contro il Tribunale speciale pur di terrorizzare la popolazione, intimando che l’unica regola in Iraq può essere la sopraffazione e che le tavolette di Hammurabi sono reliquia senza carisma. I familiari delle vittime, che amorevolmente hanno esumato dalle fosse comuni i resti dei loro cari, chiedono giustizia. A Saddam Hussein si deve assicurare quel diritto a un processo che negli anni in esame, dal 17 luglio 1968 al primo maggio 2003, ha negato ai concittadini. La televisione in diretta, un collegio di difesa, contraddittorio in aula: i suoi legali ricorderanno i tempi in cui gli Usa lo corteggiavano contro l’Iran, ed è bene che nessuna complicità venga occultata. Ma che gli eredi di Hammurabi vedano il despota e la sua corte davanti alla legge, è passo cruciale quanto le elezioni verso la nascita di un nuovo, stabile, Iraq.
Molte organizzazioni umanitarie diffidano del Tribunale, l’Onu non ha concesso i propri giuristi, l’Europa nega i team medici per il riconoscimento dei cadaveri. Sono ostilità da superare: il Tribunale va sostenuto vigilando che, come a Norimberga, la sentenza finale sia libera e equa. Come allora, vedere i potenti senza umanità difendersi davanti alla legge sarà lezione morale formidabile per tutti.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …