Riccardo Staglianò: Iraq, il piano del Pentagono. "Via 40 mila soldati nel 2006"

12 Aprile 2005
Dopo tante liti Pentagono e generali concordano: in Iraq le cose vanno meglio e, a partire dai primi mesi del 2006, il ritiro potrà cominciare. Non sarà rapido, potrebbe anche subire battute d´arresto, ma inizierà. Gli indicatori sulla base dei quali i militari sentiti dal "New York Times" azzardano il loro ottimismo sono numerosi. Pur potendo contare ancora su 12-20 mila uomini gli insorti hanno ridotto l´intensità dei loro attacchi, scesi a 30-40 al giorno dai picchi di 140 che si registravano alla vigilia delle elezioni. Muore almeno un marine al giorno, ma la tendenza è in calo e le 36 vittime di marzo sono state il bilancio meno sanguinoso. La riduzione si è ottenuta largamente a spese degli iracheni, sempre più bersagli degli attentati. Una carneficina (IraqBodyCount parla di un numero tra i 17 e i 19 mila civili) che pure non li ha dissuasi dal cercare di prendere in mano il destino del proprio paese, con il numero ufficiale delle persone addestrate ed equipaggiate come poliziotti o soldati che ha superato le 152 mila unità. Da loro, dal loro livello di operatività, sono sempre dipesi i tempi di ridispiegamento della Coalizione. ‟Siamo sul binario giusto - ha detto al quotidiano newyorchese il generale Richard Myers, capo delle forze militari congiunte - anche se gli insorti uccidono quasi ogni giorno”. Una coda di cautela che, dopo la lezione del "missione compiuta" incautamente pronunciato da George Bush il 2 maggio 2003 a bordo della portaerei Lincoln, non manca mai in nessuna dichiarazione. ‟Mi preoccupa l´essere eccessivamente ottimisti” ha ribadito ai giornalisti, il 29 marzo, il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. "Ritiro" quindi non è più parola tabù a patto che non si vada troppo nei dettagli. George Casey Jr., capo delle truppe Usa in Iraq, ha accennato con la Cnn a ‟sostanziali riduzioni”. Ma la quantificazione, dagli attuali 142 mila agli ipotetici 105 mila di inizi 2006, è un rischio che fonti militari altolocate si sono accollate solo dietro lo scudo dell´anonimato. Perché, ‟se c´è stata una crescita costante delle capacità delle forze irachene” ha ammesso l´addestratore-capo, generale David Petraeus, ‟c´è ancora un enorme lavoro da fare”.
Come il rapimento di ieri di un contractor americano, che lavorava nella ricostruzione a Bagdad, tragicamente conferma. O come ribadiscono le autobomba davanti a una postazione militare statunitense a Qaim, nell´ovest del paese, o quella a Samarra, nel sud, tragicamente confermano. A fronte dei quattro morti e della ventina di feriti che gli attentati hanno provocato, nella notte di domenica un´operazione congiunta condotta da 500 soldati iracheni e da marines è valsa l´arresto di 65 presunti insorti nel quartiere di al Rasheed, a Bagdad. ‟Abbiamo sostenuto le Forze irachene di sicurezza nella loro lotta all´insurrezione e colpito tre reti terroriste” ha affermato il portavoce Ross Coffman, ‟ovvero il vero scopo del nostro dispiegamento qui”. Una priorità condivisa dal neopresidente Jalal Talabani che, in un´intervista al Wall Street Journal, ha auspicato che il mondo riconosca che un Iraq ‟federale e democratico, capace di difendersi contro il terrorismo, è obiettivo degno di un ampio supporto internazionale”. Servono partnership per la ‟crescita economica”, ha aggiunto, e ‟un coinvolgimento continuo dell´Onu”.

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …