Gianni Riotta: Watergate. Ecco chi era “Gola Profonda”

01 Giugno 2005
‟Ma è un cattolico questo Felt?” chiese il presidente Nixon. ‟Macché: un ebreo” ribatté il consigliere Haldeman. ‟Cristo! Un giudeo al dannato Fbi” imprecò Nixon: a tutti i costi voleva scoprire se fosse proprio Felt ‟Gola Profonda” la talpa che rivelava al quotidiano Washington Post i segreti dello scandalo Watergate che l’avrebbe costretto alle dimissioni il 9 agosto 1974. Nixon aveva buon fiuto: ieri il rotocalco ‟Vanity Fair” ha confermato che Mark Felt, 91 anni, ex numero 2 del Federal Bureau of Investigation, era la fonte dei cronisti Bob Woodward e Carl Bernstein che misero k.o. il più duro presidente del XX secolo.
È la figlia di Felt, Joan, a rivelare i segreti del padre, invalido, ‟per pagare qualche debituccio, magari le tasse dell’università di mio figlio Nick”. Così, in chiave casalinga, finisce l’epopea che scosse gli Stati Uniti. L’ultima conferma dal ‟Washington Post” : ‟Felt è Gola Profonda”. Woodward e il suo direttore Bradlee ricordano: ‟Che la fonte fosse il numero 2 del Fbi ci tranquillizzava”. Tutto era cominciato il 17 giugno 1972, quando un gruppo di ladruncoli venne beccato negli uffici del partito democratico al Watergate, sgraziato colosso di cemento bianco a Washington. Nixon, repubblicano, era in campagna elettorale contro il senatore democratico George McGovern, ostile alla guerra in Vietnam. I ‟ladri” volevano installare microspie per controllare gli avversari: non servivano, a novembre Nixon batté McGovern a valanga.
Dal processo però emerse la copertura che la Casa Bianca aveva dato agli ‟idraulici”, come si chiamavano in gergo i provocatori e, poco a poco, le rivelazioni del quotidiano ‟Washington Post”, di proprietà della signora Graham (‟a quella lì strizzerò le tette nella rotativa” brontolava Nixon) e diretto dal leggendario Ben Bradlee, costrinsero il presidente alle dimissioni. Nel film che il regista Alan Pakula trasse dallo scandalo, Tutti gli uomini del presidente, Gola Profonda era l’attore Hal Holbrook, sempre intento a incontrare in segreto Robert Redford (Woodward) e Dustin Hoffman (Bernstein). In realtà Felt è un signore con una gran zazzera di capelli bianchi, di origine irlandese, non ebreo né cattolico. Vicedirettore dell'Fbi, uomo tutto d'un pezzo, funzionario di polizia che indagava sui terroristi Weathermen Underground nei giorni in cui la figlia Joan si univa a una comune hippy passando le giornate nuda sui prati ad allattare il figlio, Felt informò la nazione contro il presidente e le sue malefatte e solo negli ultimi giorni di lucidità avrebbe ammesso: ‟Sono io Gola Profonda”.
”L’ho fatto per difendere l’Fbi” avrebbe detto ai familiari da una Casa Bianca che pressava per cancellare inchieste scomode. Quando gli uomini di Felt arrivarono in Messico alla pista dei dollari sporchi che avevano finanziato la campagna illegale contro i democratici, scatta l’ordine di insabbiare tutto. In quei giorni bui per la Repubblica il miglior spirito americano si raccoglie nella capitale. La stampa fa il suo dovere. Il giudice John Sirica non si lascia intimidire dalle pressioni di Nixon e quando il commissario speciale Archibald Cox vuole a tutti i costi i nastri segreti con le registrazioni che inchiodano Nixon, non si trova chi voglia macchiarsi la reputazione firmandone il licenziamento: comincia a dire di no il ministro Richardson ed è cacciato, poi tocca al suo vice Ruckelshaus. Finché non arriva, nel Massacro di Stato, il servile giudice Robert Bork e licenzia Cox. Bork pagherà quando, candidato alla Corte suprema, vedrà i democratici votargli contro in massa, fino a liquidarlo.
A muovere Felt, che aveva cominciato la carriera nel Fbi con la filosofia del duro Edgard J. Hoover, contro i comunisti, i gangster, la malavita, nel mito dei ‟federali incorruttibili”, sarebbe stato dunque il desiderio di cancellare la vergogna dell'asservimento politico del ‟dannato Bureau”. Per anni, mentre Woodward e Bernstein vendevano l'archivio con i loro appunti segreti all'Università di Austin per 5 milioni di dollari (oltre quattro milioni di euro), Felt si accontentava della vita da pensionato a Santa Rosa, in California, in casa con un badante delle isole Fiji e la figlia Joan, non più anarchica ma attiva professionista.
Ogni tanto arrivavano i giornalisti, una volta il figlio di Carl Bernstein disse a un compagno di college: ‟Gola Profonda è Felt” ma Felt smentiva e depistava: ‟Fossi stato io avrei fatto meglio, senza tutta quella confusione”. Con Woodward, Bernstein e Bradlee giurati al silenzio ‟finché Gola Profonda non muoia”, le congetture cadevano nel vuoto. Chi parlava del segretario di stato Henry Kissinger, che voleva far fuori l'odiato-amato Nixon, chi di Bush padre, che dopotutto era il presidente del partito repubblicano. Chi dell'affascinante giornalista Diane Sawyer, all'epoca funzionaria dell'ufficio stampa, o del generale Haig, capo di gabinetto della Casa Bianca. Chi del collerico consigliere Buchanan, poi velleitario candidato presidenziale. Qualcuno avanzò sospetti perfino su William Rehnquist, futuro capo della Corte suprema, oggi malato di cancro. Le motivazioni furono le più varie: faide interne al partito repubblicano, l'establishment finanziario, la vendetta democratica, lo spionaggio sovietico in ritorsione per il Vietnam o l'apertura alla Cina. Invece tutto più semplice, un signore che non si fidava di Nixon e che viene così descritto da Woodward e Bernstein: ‟Cosciente delle sue debolezze e pronto a ammetterle.
Adorava smodatamente i pettegolezzi, sempre attento a minimizzare le voci, ma sempre attratto dai ‘si dice’... Poteva fare il duro, bere troppo, esagerare. E non nascondeva mai i suoi veri sentimenti, non certo una virtù per un uomo del suo rango... logorato dal cinismo di Washington e dalla cultura del coltello dei nixoniani” Gola Profonda-Felt ‟distribuì informazioni riservatissime... mentendo per anni ad amici, colleghi e familiari e sempre negando di averci aiutato”. Per oggi il ‟Washington Post” aveva previsto un articolo della storica coppia, che riunita per l’ultima volta conferma l’identità di Felt e ricorda i giorni eroici. È una visita al vecchio Felt di Woodward, nel 1999, a confermare i sospetti della figlia Joan.
E l'avvocato che ha - scelta curiosa per un legale - scritto l'articolo rivelazione per il ‟Vanity Fair” , John O'Connor, medierà a lungo tra la Joan Felt e il giornalista, oggi vicedirettore del Post . Si parla di soldi, di un libro a quattro mani e infine l'ammissione: ‟Perché Woodward deve avere tutta la gloria e papà no?”. ‟Mio nonno è un eroe!” proclama il nipote Nick Jones, che Felt andava a trovare, revolver d'ordinanza dell'Fbi ben stretto nella fondina di cuoio sotto l'ascella, mentre la mamma Joan viveva in una comune hippy. Gola Profonda aveva rubato il nome alla povera Linda Lovelace, attrice porno di un film cult. Incontrava i due reporter in garage bui, set perfetto per Pakula. Non smaniò mai per i soldi, la fama, la ribalta, il suo nome è confermato oggi dagli eredi, a caccia degli ultimi spiccioli, di celebrità o dollari, dello scandalo che sconvolse il mondo. Non sappiamo quando davvero Felt abbia detto ‟Sono io Gola Profonda” o se abbia tenuto fede fino alla fine al silenzio, come fanno i suoi confidenti di allora. Dalla caduta di Saigon alla rivolta degli ayatollah in Iran, dall’invasione dell'Afghanistan al riarmo di Mosca, tanti fronti si fecero di fuoco davanti all’America gigante indebolito dal Watergate.
Il condominio con le lunghe terrazze circolari divenne sinonimo di scandalo e ogni porcheria pubblica finisce di botto in ‟gate”, Irangate, Monicagate. Ora i complottisti diranno che dietro Felt c'erano le solite lobby, i soliti sospetti, la sindrome del ‟codice da Vinci” è ormai inestirpabile: dietro ogni verità c'è un ‟complotto” ignoto ai più, noto agli iniziati. Ieri c’era chi ricordava che Felt sognò di diventare direttore del Fbi e che invece Nixon nominò il viceministro della Giustizia Patrick Gray al suo posto. La parcella per cui la famiglia Felt ha venduto la saga del patriarca Felt chiude un’epoca per cui quasi si prova nostalgia. Quando i presidenti corrotti erano capaci di gesti storici, aprire alla Cina. I loro consiglieri cinici, come Kissinger, accoppiavano malefatte, il golpe in Cile a colpi d'ala, la missione a Pechino.
I cronisti chiedevano sempre ‟almeno due fonti” e gli scoop erano nutriti di notizie, non di astio. I direttori verificavano senza cestinare. I magistrati rispettavano la legge e c’era chi preferiva le dimissioni alla vergogna. Di quell'epoca l'agente con in pancia tre Martini cocktail a ogni pranzo, Mark Felt, era un simbolo. Fa piacere vederne adesso il volto da simpatico vegliardo smemorato, dispiace che le solite carte di credito in rosso della California consumista lo sbattano in prima. ‟Seguite la pista dei soldi” sussurrava Gola Profonda ai due giovani cronisti: allora come oggi, precetto formidabile.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …