Gianni Riotta: Live8. I sussidi nemici degli aiuti

04 Luglio 2005
Forse due miliardi di esseri umani hanno applaudito il festival rock Live 8, ascoltando le nuove stelle Coldplay, riascoltando l’eterno Bocelli e commuovendosi per i mitici Pink Floyd. Ma pochissimi telespettatori dell’evento, che ambiva a rompere i record di audience, vivono in Africa. Il continente povero era concentrato ieri, nelle megalopoli e nelle lande di desolazione, dai campi fertili alle zone di guerriglia, nell’arte quotidiana della sopravvivenza. Abdul-Raheem Tajudeen, editorialista del quotidiano ‟Guardian” in Tanzania, coglieva bene la contraddizione: i Paesi ricchi fanno musica per l’Africa, che non può ascoltare, c’è odore di paternalismo e consumismo, ma come denunciarli se poi, ogni giorno, ci si lagna del silenzio, dell’indifferenza e del cinismo che incombono sul grande Continente? Entusiasta per 24 ore globali di buona volontà, dal Circo Massimo al Giappone, chi si occupa seriamente di Africa e sviluppo torna a ragionare. Il rock ha portato l’Africa sulle prime pagine e i teleschermi del mondo, evviva il rock! Ma illudersi che rock e aiuti, lo schioccare delle dita di Sir Bob Geldof, che ci ricorda i bambini stroncati dalla fame ogni due secondi, bastino non a risolvere, ma anche solo a far progredire di un passo l’Africa è un sogno. Per realizzare la mole della tragedia in corso lettrici e lettori meditino: la recente campagna per cancellare il debito dei Paesi poveri ha coinvolto le star, da Bono degli U2 a Jovanotti, ha avuto come profeta Papa Giovanni Paolo II e persuaso l’Onu, Clinton e Tony Blair.
Dopo decenni di negoziati, le nazioni del G8, che si riuniranno in Scozia la prossima settimana, hanno concordato di estinguere il debito dei Paesi miserrimi dell’Africa subsahariana fino a 840 milioni di euro l’anno. È bastato però l’aumento del prezzo del petrolio per annullare il sollievo del debito cancellato. La bolletta petrolifera costerà adesso ai Paesi infelici 9 miliardi di euro l’anno in più, riaprendo le sabbie mobili dell’indebitamento. Concedere aiuti con l’arroganza infastidita non solo non contribuisce allo sviluppo dell’Africa ma può perpetuare la miseria. Il professor Jagdish Bhagwati e l’economista Fredrik Erixon ce lo ricordano: spesso elargire danaro a pioggia a Stati falliti, dittatori corrotti, burocrazie clientelari, serve solo a prolungare carestie e pandemie. Il Botswana, Paese che ha ricevuto relativamente pochi fondi ma ha seguito politiche di riforma eque, con una classe dirigente adeguata, gode oggi di un reddito a persona di 6.600 euro l’anno, contro i 50 centesimi al giorno di Paesi limitrofi. Ha allora torto chi, come lo studioso Jeffrey Sachs, continua a elaborare piani per lo sviluppo? E le rockstar del Live8, cantano sulla tolda fracassona di una nave che affonda? Sarebbe ingeneroso dirlo. È però il momento, per chi ha davvero a cuore le sorti dell’ultimo Continente, dove l’Homo Sapiens convive con la natura, di ragionare sulle cause profonde di fame ed epidemie. Il leggendario Nelson Mandela ha chiamato a raccolta le coscienze con il suo grido al Live8: la miseria è prodotta dall’uomo. Vero. Le tragedie del colonialismo, con i dodici milioni di morti che il Re del Belgio fece in Congo, sono olocausto indimenticabile, ma non giustificano le stragi di Mugabe in Zimbabwe o gli orrori del Congo, lacerato dalla cupidigia. Tocca ai leader migliori dell’Africa non cadere nell’omertà post-coloniale, coprendo despoti crudeli, ma usare della verità come innesco allo sviluppo. Il Premio Nobel Wole Soyinka predica questa necessità da anni. Come per le epidemie la prevenzione è meno costosa e più efficace delle cure, così nello sviluppo di politiche raziocinanti, che educhino le madri, diffondano mestieri e tecnologie, combattano l’Aids (e le chiese possono dare qui un contributo, in spirito cristiano, non farisaico), usino Internet per ridurre le distanze immense, si curino degli orfani, fermino i massacri dal Darfur alla Costa d’Avorio senza egoismi ottocenteschi, possono far germogliare in Africa lo sviluppo che, in India e Cina, ha portato in una generazione oltre un miliardo di esseri umani dalla fame al benessere. Spenti i riflettori Live8, sull’Africa incombono, grevi, le tre cifre capestro del nostro Millennio: spendiamo 900 miliardi ogni anno in armamenti, 350 in sussidi all’agricoltura nei Paesi ricchi e diamo una mancia di 50 miliardi agli aiuti. Siamo i paladini del mercato globale, quando ci conviene, ma diventiamo protezionisti ultras per tenere lontani i prodotti agricoli e il magnifico artigianato tessile dell’Africa. I sussidi europei allo zucchero hanno ridotto alla fame le cooperative delle donne in Senegal. Se gli africani non riducono in fretta corruzione e dispotismo, e noi occidentali non variamo con altrettanta urgenza un programma di sviluppo raziocinante ma non avaro, povertà, epidemie e guerre dilagheranno nel Continente.
Ricordo una chiesa cattolica del Malawi, che ho visitato preparando il Progetto Malawi, iniziativa di aiuto delle ong italiane: bambine poverissime, gli abitini scoloriti della festa fradici per la pioggia lungo la pista rossa del villaggio, molte orfane, che al momento delle offerte, traevano ciascuna una monetina dalla tasca e la mettevano compunte nel cestino comune. Non avevano nulla, davano tutto: saremo meno generosi di loro noi, che abbiamo tutto e dobbiamo solo condividere qualcosa?

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …