Riccardo Staglianò: L'imam rapito dalla Cia cercava reclute per la jihad

04 Luglio 2005
Non era un imam come tanti Abu Omar. Aveva progetti ambiziosi e "studiava" da leader dell’Istituto culturale islamico di viale Jenner che, dopo la morte del fondatore, non aveva trovato un erede all’altezza del compito. E, per raggiungere lo scopo, capiva che doveva creare una propria rete di informazione e di moschee che si riconoscevano nella visione del centro milanese. A correggere il ritratto un po’ troppo modesto del peso politico dell’egiziano rapito dagli agenti della Cia è Khalid Chaouki, ex presidente dei Giovani musulmani e figura di spicco dell’islam moderato in Italia. Lui Abu Omar l’ha conosciuto e ci ha litigato duramente dopo che, dal minbar, il pulpito islamico, se la prese con un’associazione colpevole di sostenere la causa dell’uguaglianza delle donne islamiche.
Ma procediamo con ordine. Nell’autunno del 2000 l’imam fa visita a Reggio Emilia. La città dove l’allora diciottenne Chaouki vive e dove sua madre, la marocchina Mina Makhlouk, ha fondato la Lega islamica femminile che lavora con il Comune per l’alfabetizzazione, la formazione e l’assistenza alle donne nei dissidi familiari. Un’iniziativa che Abu Omar non gradisce e che denuncia come "deviante" nella preghiera del venerdì. ‟Alterava quella che lui credeva fosse la giusta gerarchia tra i sessi - spiega oggi Chaouki che ha scritto di quel periodo nel libro Salaam Italia - e, cooperando con le istituzioni, portava le donne sulla cattiva strada, occidentalizzandole”. Accuse ripetute anche l’indomani, nell’assemblea della comunità islamica. ‟Disse che chi collaborava con l’associazione si allontanava dalla religione, fu una sorta di fatwa”.
Al di là del pur eloquente incidente, il terreno di gioco di Abu Omar non si limitava a Reggio. Era europeo. ‟La sua insistenza sulla centralità strategica del controllo dell’informazione - ricorda Chaouki - lo portò a occuparsi del rilancio del mensile del centro di viale Jenner, La voce della verità, cercando una partnership con La buona parola, la rivista del centro islamico di Vienna”.
Due poli che condividevano la stessa simpatia per i gruppi jihadisti: nel ‘94 avevano collaborato nell’organizzare un campeggio estivo a Modena che aveva tra i suoi ospiti figure di primo piano come lo sceicco Fatih Krekar, capo di Ansar Al Islam, e Abu Talal, capo militare della Jemaah Islamiya egiziana. Abu Omar voleva fare dell’Italia un punto d’incontro importante dell’internazionale jihadista come prima di lui era riuscito a fare il fondatore del centro di viale Jenner, quell’Anwar Shaaban morto in Croazia come volontario mujaheddin. ‟In questa prospettiva - prosegue Chouki - voleva creare una rete di moschee tra cui Reggio Emilia, Sassuolo, Parma, Varese e Firenze tutte sotto l’ombrello del centro milanese”. Che sensibilizzassero i musulmani italiani sulle grandi vicende internazionali, dalla Bosnia alla Cecenia prima che ci fosse l’Iraq. Potenziali centri di reclutamento, insomma. Una competenza che l’egiziano non si era improvvisato. A Milano, infatti, era arrivato dall’Albania, dove aveva messo in piedi varie attività imprenditoriali e era punto di riferimento per le ong saudite e kuwaitiane che lavoravano nei Balcani. Era stato in Afghanistan, come mujaheddin ,e poi in Pakistan, a Peshawar, dove aveva frequentato la rivista Al Murabitun alla quale collaboravano, tra gli altri, Krekar e Shaaban. ‟Insomma - conclude Chaouki - rispetto a tanti altri imam, lui aveva un progetto ben più ambizioso”.

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …