Tullio Kezich: Alberto Lattuada. Un vero cine architetto (di scuola americana) perseguitato dai censori

11 Luglio 2005
Nel cinema siamo tutti dottori, anche chi non ha mai frequentato l’università; e proprio per distinguerlo, il dottor Alberto Lattuada, laureato al Politecnico di Milano, sul set lo chiamavano l’Architetto. Se n’è andato superata la boa dei novant’anni, dopo un cupo tramonto trascorso in completo straniamento, assistito con vero eroismo dalla moglie Carla Del Poggio. Nel fargli un’intervista allo scoccare degli ottanta, quand’era ancora vulcanico e scalpitante, gli chiesi se sperava di tornare al lavoro. Risposta: ‟Bisognerebbe che non ci fossero in giro facce come quella del dirigente tv che qualche giorno fa, aprendo il copione di Il villaggio di Stepancikovo , ha fatto una smorfia nel leggere il nome di Dostoevskij ‟. Non vedremo Stepancikovo , rimasto per ignavia burocratica fra i troppi sogni nel cassetto, ma ci sono gli altri 35 o 40 titoli di Lattuada che a tarda notte ricompaiono sul video; e ogni volta la maestria di questo cineasta capace di affrontare tutti i generi ti fa scordare il sonno. Infallibile nell’inquadrare, sensibile nel valorizzare gli attori, sempre attento al racconto. Si potrebbe definirlo il più americano dei nostri registi, dando all’aggettivo una forte connotazione positiva. Perché l’autore di Il cappotto ( il suo film preferito, tratto da Gogol) si è caratterizzato proprio come l’artigiano artista capace di stringere in una sintesi vincente cultura e mercato. Abile cioè a conferire dignità e stile al prodotto di confezione senza perdere il contatto con il grande pubblico e la realtà politico sociale. Sembra facile, in Usa lo fanno Spielberg, Scorsese, Coppola, Stone e altri: ma da noi? Se tornassero a nascere uno, due, dieci Lattuada, il panorama cambierebbe. Alberto era un socialista sceso dall’arca ben prima di approdare a Hammamet. Da giovane era stato un salvatore delle vecchie pellicole su cui nacque la Cineteca Italiana; e nel 1940 finì in questura per aver proiettato alla Triennale La grande illusione di Renoir. Su precedenti da fotografo d’arte, diventò nel cinema l’aiuto di Mario Soldati che lo definì ‟un ardente pignolo ‟. All’esordio nella regìa fu bollato dalla criptosinistra come calligrafo, ma nel dopoguerra rivelò una viva sensibilità ai drammi dell’epoca. Il bandito è un classico del melò ; e Senza pietà , girato a rischio nella pineta di Tombolo, fu un capolavoro che vent’anni più tardi avrebbe potuto firmare Fassbinder. In quell’occasione ebbe con sé Fellini, che trascinò recalcitrante come co autore di Luci del varietà . Un passaggio di testimone di cui ( a mia memoria) il benefattore fu più riconoscente del beneficato. Infaticabile scopritore di talenti, Lattuada si incantava quando riusciva a portare davanti all’‟occhio quadrato ‟della macchina un’adolescente sul punto di farsi donna. Benché nei film non ci sia un’immagine meno che casta, fra le persecuzioni della censura e le punzecchiature dei maligni ne ricavò la fama di semipornografo. Minacciava di essere il suo tallone d’Achille, mentre la connotazione lo accomuna ai contemplatori delle fanciulle in fiore, da Cardarelli a Saba: sicché l’Architetto si potrebbe anche definire, parafrasando un altro poeta, il cineasta della bellezza.

Tullio Kezich

Tullio Kezich (1928-2009), autore di numerosi volumi e commediografo largamente rappresentato, è stato critico cinematografico al “Corriere della Sera”. Con Feltrinelli ha pubblicato la biografia di Fellini, Federico, nel 2002 …