Gianni Riotta: Onu. Una riforma senza diktat

19 Luglio 2005
Che succede alle Nazioni Unite? Il segretario generale Kofi Annan sgrida i 191 Paesi membri come un padre i figlioli adolescenti, ‟Calma!”, ‟Agite da persone mature!”, ‟È possibile che l’Onu dia in giro per il mondo lezioni di democrazia” se non sa organizzarla al proprio interno?
Succede che a settembre si dovrebbe decidere sulla riforma del Consiglio di sicurezza e, alla vigilia del primo voto per introdurre nuovi Paesi tra i capi condominio del mondo, il Palazzo di Vetro sembra invaso da teenager impulsivi. Il gruppo del G4, Germania, Giappone, India e Brasile, credeva di avere in tasca i 128 voti necessari a farsi eleggere come membri permanenti del Consiglio, accanto ai soci fondatori Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia. Aveva rinunciato al diritto di veto, lasciandolo appannaggio dei membri storici, sicuro del sostegno dei Paesi africani, in cambio di due seggi assegnati a Egitto, Nigeria o Sud Africa. A sorpresa, il summit delle 53 nazioni dell’Unione africana ha imboccato una sua strada ambiziosa, sei nuovi seggi permanenti con diritto di veto, di cui due all’Africa, che ne avrebbe altrettanti tra i nuovi cinque seggi non permanenti. Alle ipotesi rivali si aggiunge il gruppone ‟Uniti per il consenso” di cui l’Italia è leader con Argentina, Canada, Messico e Pakistan, obiettivo dichiarato avere un Consiglio allargato a rotazione, obiettivo reale bloccare le speranze egoiste del G4.
La Cina ha detto di no al Giappone, prima con le sassate degli studenti contro le sedi diplomatiche di Tokio, poi con la politica: ‟La riforma è fallita”, anticipa l’agenzia Nuova Cina. La Russia chiede lo status quo. Francia e Gran Bretagna dicono sì alla Germania, ma se il G4 va a fondo non piangeranno. Gli Usa sostengono il Giappone, ma il presidente Bush si batte perché il cancelliere Schröder non festeggi il seggio al Consiglio nella prossima campagna elettorale. Le troppe manovre dietro le vetrate sull’East River, scambi, promesse, minacce, millanterie e seduzioni hanno intorpidito la necessaria svolta delle Nazioni.
Due considerazioni. La prima riguarda l’Italia. Un anno fa il ‟Corriere della Sera” osservò che la campagna per il seggio permanente al nostro Paese era stata abbandonata, a dispetto dell’impegno di fondi e caschi blu. Il premier Berlusconi incaricò il sottosegretario Letta di riaprire il dossier e, diretti da due ministri degli Esteri, Frattini e Fini, i nostri diplomatici hanno tentato di salvare il salvabile, sostenuti dal presidente Ciampi. Di un seggio comune, che darebbe all’Unione Europea straordinario potere negoziale e prestigio morale, tali da cancellare lo smacco della Costituzione bocciata, è acerbo parlare. Resta da evitare il premio al G4 e, anche grazie ai rapporti con la Casa Bianca, ci si potrebbe riuscire. L’opposizione ha dato una mano, due recenti saggi di Fini e Rutelli, su ‟Riformista” ed ‟Europa”, sostengono all’unisono gli stessi interessi nazionali. Ma sul piano internazionale, lo scacco alla riforma del Consiglio, unito agli scandali oil for food e abusi sessuali, all’impotenza sul Sudan, alla freddezza con la Casa Bianca (dove resta grippata la candidatura del fazioso ambasciatore Bolton) e all’incongruenza di Paesi dittatoriali che gestiscono i diritti civili, contribuirà al declino dell’Onu. Una riforma del Consiglio a colpi di maggioranze d’occasione e strette di mano furtive, come insistono a fare i leader del G4, alienerà tanti Paesi cruciali. L’Onu ha bisogno di più democrazia e meno burocrazia, il mondo ha bisogno di un’Onu più agile e coraggiosa, capace di riforme e trasparenza, ma nel consenso, non a spinte.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …