Michele Serra: Calcio. Addio vecchi ritiri, tra carte e biliardo
Il fatto che sussistesse l’ipotesi di una formazione-tipo già ci segnala quante epoche siano passate: di fronte a rose di trenta giocatori oggi anche la critica più agguerrita alza bandiera bianca, e negli specchietti spericolatamente azzardati dai giornali per ogni ruolo c’è una vera e propria band di giocatori papabili. Troppi calciatori e troppo calcio, rischio di bulimia e di susseguente anoressia, ma se lo si dice inutilmente da un buon decennio significa che il volano affaristico del football, da sport nazionale promosso (o retrocesso) a genere televisivo, oramai è del tutto fuori controllo, come un reattore nucleare che nessuno si azzarda più ad avvicinare.
Trofei estivi di minimo pregio tecnico e di oscurissima tradizione, con giocatori ancora blesi e odorosi di fritto di pesce, nuovi acquisti nigeriani e bosniaci magari solo di passaggio, vengono infiocchettati come "eventi" imperdibili, introdotti in video da sigle roboanti e chiusi dalla mesta consegna di coppe gigantesche, inversamente proporzionali al loro pregio sportivo. Addirittura, resi ancora più penosi dalla piccolezza dell’occasione e dal vuoto nel quale rimbombano, si odono i primi cori osceni degli ultras, accorsi in ciabatte e canottiera per la gioia di sperimentare i fanculo di fresco conio, che rimbalzano contro i colli e i condomini che fanno corona, spesso, a poveri spalti di paese promossi a templi provvisori del Calcio con la maiuscola. Grandeur tutta millantata, quella del pallone estivo, eppure funziona, serve a raggranellare qualche spicciolo supplementare di diritti televisivi da gettare nelle fauci insaziabili del debito collettivo, aiuta i tifosi a soffrire molto moderatamente per la sconfitta e godere molto blandamente per la vittoria, e magari a divertirsi in crocchio di fronte a un video-game guarnito e commentato manco fosse una finale di Coppa.
E tuttavia nei meno giovani rimane vivo (e con ottime ragioni) il rimpianto per le estati vuote di una volta, quando il massimo brivido consentito era sapere che il tale terzino di serie B, in ferie nella spiaggia accanto, avrebbe giocato la sera in un torneo inter-bar, su un campo sabbioso e liso, sfidando le ire dell’allenatore. Non è passatismo, è che il vacuum estivo accresceva l’appetito per la nuova stagione e il primo "Calcio minuto per minuto", rendeva desiderabile e atteso il ritorno del "calcio vero", quello che metteva in palio i famosi due punti. E nelle rarissime sortite pre-campionato che la Rai considerava decoroso mandare in onda, telecronisti bravi e coscienziosi avvertivano che "questo non è un test attendibile", "è solo un buon allenamento", come se fosse sputtanante eccitarsi troppo. Poi la misura è andata persa, si sa, non solamente nel povero calcio, e oramai solo un maniaco da psicoterapia può tenersi al corrente dei triangolari e quadrangolari, delle furibonde due-giorni all’altro capo del mondo per contendere ai campioni di Singapore o d’Oceania un trofeo misterioso pur di intascare qualche gettone di presenza in più, del moltiplicarsi insensato di coppe (purtroppo ufficializzate dalla Uefa) tra vincitori di coppa, intercoppe, vicecoppe, due di coppe disperatamente messi in palio alla ricerca affannosa di briciole di audience, spiccioli di ingaggio. Se poi, a fronte di tutto questo, i bilanci rifiorissero, uno potrebbe anche dire che il giochino valeva la candela. Ma se un pool di severi economisti volesse mettere nel conto quanto costa, in infortunii, logorio dei giocatori, ampliamento nevrotico delle rose, questo calcio non-stop, che già di luglio suona la grancassa; e quanto gioverebbe, al contrario, una ragionevole riduzione degli impegni, dei costi, delle rose, degli ingaggi, di tutto, riconducendo il calendario a una salutare sequenza di impegni ma anche di pause, di partite ma anche di allenamenti: beh, magari ne verrebbe fuori che anche questa superfetazione dei tornei estivi è il sintomo, l’ennesimo, di una patologia, così come è del tutto patologico che un presidente di Lega sia anche un boss della televisione. E come faranno, poi, i calciatori, a giocare a calcio-balilla e a biliardo in ritiro, come hanno sempre fatto, se il calcio-balilla e il biliardo sono stati soppiantati da vere partite undici contro undici (anzi, trenta contro trenta), per giunta di fronte a un pubblico pagante? Il sindacato calciatori dovrebbe far mettere a contratto che per ogni trofeo balneare i giocatori hanno diritto a un week-end di carte o di biliardo, in santa pace. Con la clausola che la televisione non può comperare i diritti della scala quaranta.