Gianni Riotta: Partito democratico e unità dell'Ulivo

18 Ottobre 2005
Da Ronald Reagan a Bill Clinton le primarie americane hanno le sorprese nel Dna. I quattro milioni di elettori di domenica trasmettono anche alla storia italiana lo choc primarie, riproponendo subito la prospettiva della lista unitaria del centrosinistra che sembrava ormai tramontata. Il successo di ieri assegna a Romano Prodi e alla sua coalizione due incarichi. Il primo è ovvio: la gente, militanti dei partiti e cittadini semplici, che ha fatto la fila nei seggi, boccia l'amministrazione del centrodestra, e fin qui nulla di nuovo. Tanta partecipazione è stata probabilmente accelerata dal risentimento per la nuova legge elettorale, approvata, così è sembrato, più per convenienze di schieramento che per dare miglior rappresentanza al Paese, gettando alle ortiche quel che di buono il maggioritario aveva seminato, anche grazie a uomini e culture di destra.
Il 16 ottobre concede respiro e spazio all'Unione di Prodi e, grazie alla ritrovata vena di Berlusconi, assicura una vivacissima campagna politica. Sarebbe però dimezzare il valore delle primarie — e di nuovo qui l'esperienza americana è maestra — se i leader del centrosinistra non recepissero, non a slogan ma nella pratica, il messaggio degli elettori. E' l'esigenza di coniugare il meglio della lunga stagione della Prima repubblica, il riformismo degli anni '60, con l'addio alle ideologie e la voglia di governo della tumultuosa Seconda repubblica. Le culture del centrosinistra, Dc, Psi, Pci, radicali, non devono cercare una postuma conferma di identità, ma maturare un nuovo soggetto: un moderno partito democratico. Prodi parla di ‟vero Ulivo, grande Unione”, Rutelli (come raccontato sul Corriere da Maria Teresa Meli) mostra preziose aperture, Fassino è stato a lungo interprete di questo bisogno. Qualunque cosa predicheranno le sirene del politichese, non è stagione da cinismi e furbizie. Se la nuova sinistra resta un cartello, rabberciato magari con sagacia per aggirare il proporzionale per poi, raggranellato qualche seggio, tornare a eludere gli interessi nazionali, allora gli elettori moderati non sfratteranno la Casa delle Libertà e la delusione disperderà il popolo delle primarie.
La scelta di domenica sollecita un centrosinistra che si muova sulle orme tolleranti, occidentali, del partito democratico Usa, che sembravano accettate da tutti pochi anni fa, quando anche D'Alema dialogava con Blair e Clinton sulla terza via e che invece l'eterno ritorno del passato remoto sembra rinnegare. Se la difesa del codice genetico Dc, della ‟socialdemocrazia europea”, dell'antica ‟via italiana al socialismo”, dell' orgoglio craxiano o radicale, agiranno come defoliante contro le speranze, magari ingenue, di domenica, il profumo delle primarie svanirà prima dell'inverno. Gli elettori son pronti a perdonare una confusione di toni e culture — ‟io non appartengo a nessun partito organizzato, sono un democratico americano” scherzava Groucho Marx — e hanno perfino tollerato il carnevale dei passamontagna. Ma sognano una coalizione prima, e un partito dopo, capaci di vedere le opportunità, non solo i rischi del futuro. Di distinguere nel mercato non solo i tagli ma anche i nuovi lavori creati. Nella scelta occidentale non solo Abu Ghraib ma le battaglie di libertà. A questa forza e a queste idee, chiamatele come si vuole, affideranno la nuova Italia. Davanti a pasticci il miraggio del Cavaliere potrebbe rifarsi seducente.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …