Gianni Riotta: Le persone perbene? Né noiose né cretine salveranno l’Italia

12 Gennaio 2006
Qualche anno fa, l’avvocato Gianni Agnelli mi chiese ‟Lei vive tra Italia e America, che impressioni ha del nostro Paese?”. Forse per l’ora antelucana, azzardai una battuta: ‟Da ragazzo pensavo che fosse una buona idea introdurre in Italia il socialismo, adesso mi accontenterei di vedere il capitalismo”. Tutti i guai che ci sono piovuti addosso, Tangentopoli, Parmalat, declino industriale, scalate folli contro ‟Corriere della Sera” e banche, testimoniano di un Paese che ancora non accetta, nel bene e nel male, le regole dure ma efficienti dell’evoluzione moderna. L’industria è usa a considerare lo stato come la panchina dove sedersi quando, in affanno, la politica vede in imprese e finanza non il polmone del Paese ma il sostegno alla propria parte, giornali e tv passano per taxi, da affittare a piacimento. Nel selezionare un presidente, un direttore, un ministro, un banchiere, un diplomatico, un docente, il criterio dell’appartenenza al clan la spunta quasi sempre su merito, competenza, serietà. La vera sconfitta del governo Berlusconi è qui: non avere dinamizzato la scala sociale, perdendo per strada, perfino con un ghigno soddisfatto, tecnocrati come Renato Ruggiero e Mimmo Siniscalco, riempiendo la Rai - lo dicono autorevoli esponenti di An, e mi scuso con lettrici e lettori per il realismo - ‟di zoccole”, esitando a nominare Draghi a Bankitalia contro Rasputin Fazio. Neppure un terzo mandato a Berlusconi ci darà quel Paese agile, meritocratico e innovativo che è la sola speranza per un futuro senza povertà per i nostri figli. Nelle sue aziende Berlusconi sapeva scegliere i migliori, in politica no. Anche la débâcle della sinistra, tra scalate al ‟Corriere” e banche, è qui: avere disperato nella capacità di spuntarla in un sistema equo e trasparente, ed avere accettato, chi con spocchia chi a malincuore, di crearsi la propria lobby, il proprio sportello, il proprio network finanziario. È una sfiducia che ha radici profonde e malate. L’odio per il mercato, giudicato non come produttore di lavoro, ma come sentina di vizi. Chi non ama la moderna globalizzazione, che è piena di ritardi e problemi, dovrebbe però con onestà dire quale modello alternativo persegue a un pur imperfetto sistema che ha tratto in pochi anni miliardi di esseri umani dalla miseria. Ma anche nei dirigenti che hanno ormai accettato il mercato resta il sospetto che la partita sia truccata, e dunque la competizione non debba andare al miglior concorrente ma essere drogata a favore del proprio sodale. È una lettura ‟machiavellica” (in realtà gli studi di De Grazia e Viroli provano che il segretario fiorentino era più ‟etico” dei suoi presunti, ‟machiavellici”, seguaci), furba, cinica, un vizio perdente che Giuliano Ferrara è astuto nel suggerire all’avversario Massimo D’Alema sapendo che non gli offre un’arma ma un amo. Ferrara dice che i giornalisti ‟perbene” sono ‟noiosi” e gli statisti ‟perbene” ‟cretini”. De Gasperi e Montanelli, Roosevelt e Murrow (l’avete visto nel film di Clooney Good night and good luck) testimoniano come si possa essere grandi e perbene, perché il cinismo intossica a destra e sinistra e, alla fine, asfissia il Paese. Il nostro Mannheimer giudica incerto un terzo di moderati, che possono rimettere in forse il voto, se ne infischiano di furbi e cinici e sognano un sistema aperto. Mi confesso anche io noioso nell’avere sempre creduto, perfino quando, sotto la canicola, sembrava ormai certo che queste pagine potessero essere di nuovo invase da interessi torbidi, che non sarebbe bastato il 51% delle azioni per conquistare il ‟Corriere”: le donne e gli uomini che lo creano per voi ogni giorno sono, infatti, perbene.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …