Gianni Riotta: Le lingue del presente nella grammatica politica degli intellettuali italiani

19 Gennaio 2006
La mia tesi di laurea in logica, col sussiegoso titolo ?Il concetto di verità nei linguaggi formalizzati?, era fresca di stampa quando il mitico caporedattore Anselmo Calaciura mi spedì a intervistare Leonardo Sciascia, candidato indipendente nelle liste Pci. M?ero portato un ?registratore portatile? grande quanto un paio di dizionari ma Sciascia, nella quieta casa all?ombra delle palme cittadine, me lo fece spegnere con un gesto: ?I grandi non lo usano mai, pensi a Matthews del New York Times?. Lo spensi, da allora solo taccuini e penna. Sciascia mi disse, con gentilezza rassegnata, di candidarsi perché credeva all?unità della sinistra. Obiettai che il Pci sperimentava il compromesso storico di Berlinguer, accordo con la Dc. Sciascia sorrise, sorseggiò acqua e anice, ma da lì a pochi mesi si dimise da consigliere comunale. L?ultima volta che lo vidi mi disse ?Sbagliavo?. Fu per me una vaccinazione contro l?idea che gli intellettuali abbiano una qualche forma di primazia in politica, Pasolini sbagliava nel credere che un solo Palazzo racchiuda il potere (lo smentì Moro rapito), Borges stimò Pinochet e Foucault scrisse per il Corsera reportages raggianti su Khomeini despota. Per questo rabbrividisco quando, su salutare sollecitazione del nostro critico Cordelli, vedo tanti rimpiangere gli anni in cui uno scrittore, un saggista, un pittore si sentivano in dovere di dire la propria su questioni di cui ignoravano l?abc. Fuori dalla loro disciplina o arte gli intellettuali sono comuni cittadini. Il Manifesto dei Mille studiosi a sostegno del Partito democratico di Romano Prodi gli darà dunque davvero una mano se, come si può sperare dalle firme, non si truccherà da ?indipendenti di sinistra 2006?, ma butterà nel laboratorio idee nuove, contraddittorie, provocazioni, teorie e stimoli che la provincia italiana dimentica tragicamente. Perché la scuola langue nelle classifiche mondiali? Perché un Nobel per la fisica è vicino quanto un successo del rugby azzurro nel VI Nazioni? Perché la meritocrazia cede alla raccomandocrazia? Perché non studiamo la Germania, dove il rilancio dell?industria e delle esportazioni non ha creato crescita né lavoro, visto che sono i servizi a dare ricchezza? Che cocktail di mercato, università e spesa pubblica può liberare la fantasia del Sud? In che modo Italia ed Europa giocano nel mondo in bilico? Come dimenticare la ?fuga dei cervelli?, utilizzando l?esperienza degli italiani all?estero? L?Italia ha bisogno di conoscenza, tecnica, nuovi saperi ed è bene che i suoi intellettuali parlino le lingue del presente (cinese mandarino incluso). La battaglia delle idee - piaccia o no - è affidata a scuole di pensiero che incalzano i potenti con la loro visione del reale, si chiamino Kagan, Ignatieff, Walzer, Berman, Fukuyama, Buruma, Gaddis, Hitchens, Stiglitz, Wolf o Bhagwati, neoconservatori e neoprogressisti. Se la cultura di sinistra straccia i sacri pepli dell?oracolo infallibile e si rimbocca le maniche urbane di critica e informazione, la politica (e la stampa!) italiana se ne gioveranno. Con orgoglio, con curiosità e audacia, senza spocchia, senza ritenersi investiti da un mandato etico a priori. Faccio un solo esempio: il professor Alesina invita il neogovernatore Draghi ad attenersi a un codice etico che lui stesso ha voluto redigere, con la stessa burbanza con cui, sul Financial Times, bacchettava il presidente Ciampi su Fazio. Non c?è bisogno di codice Made in Mit, a Draghi basta seguire le leggi, la morale comune ed evitare (come ha fatto su Unipol) i conflitti di interessi. Gli altri economisti lo giudichino e critichino, senza travestirsi da parroco davanti a un chierichetto d?oratorio.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …